Nadsat, duo strumentale
chitarra-batteria da Bologna: forza, potenza, presenza scenica,
pogamento, sperimentazione... questi i sostantivi che gli si possono
abbinare... Al terzo album ci presentano un math rock venato di noise
e jazzcore ma con ulteriori sperimentazioni latin e afro molto più
azzardate: poliritmia tra chitarra e batteria (3 su 4), giochi di
pattern tra battere e levare, un originale misto di noise e riffoni
con deframmentazione e scansione del tempo, sopra strutture
circolari... Michele Malaguti (chitarra) e Albeto Balboni (batteria)
non cessano di stupirci. Ne hanno fatta di strada da Terminus,
l'Ep di esordio del 2016! Crudo, dell'anno successivo, ne
definisce l'estetica mentre Feral, quest'ultimo lavoro
discografico, targato Subsound Records e pubblicato ad aprile 2019,
porta ai confini della sperimentazione tutta la loro musicalità.
In calce potrete approfondire la natura
dell'album con la recensione di Cesare Businaro, noto fan della band
e gran cultore di Edp, mentre se desiderate conoscere qualcosa di più
sulla formazione del duo, l'evoluzione dei loro suoni, oppure vi
incuriosisce la loro esperienza live appena conclusasi in Russia, non
mancate di leggere l'articolo Edp pubblicato su questi argoment (qui)i, con
relativa intervista a Michele ed Alberto. Buona lettura, buona musica
e tanto Nadsat a voi!
Contatti Band:
Feral
credits:
Artwork by Inserirefloppino
Prodotto da Subsound
Records, Enrico Baraldi e NADSAT
I Nadsat usano NUDE guitars, Magnitude Labs, Cyclone Devices, Dron. ed EVO Drumsticks
Qui
lo ascolti
Feral
2019
(Subsound
Records/Goodfellas)
(Mathrock,
Noise, Strumentale, Sperimentale)
1. Rhino
2. Golem
3. Ogun
4. Hooves
5. Brento
6. Vostok
7. Bateman
8. Furia
9. Corium
10.
Rosengarten
RECENSIONE
NADSAT "Feral"
Lp 2019 Subsound
Records
Ho
già scritto dei Nadsat, a proposito del loro concerto all’Area di
Carugate il 17.3.2018, quale tappa brianzola del tour – non solo
nazionale – di supporto al loro disco di debutto sulla lunga
distanza, “Crudo”, che ho apprezzato particolarmente per la
capacità del duo di tenere alta l’attenzione dell’ascoltatore,
pur proponendo un genere, sostanzialmente Noise, per i più
tutt’altro che appetibile e orecchiabile, a maggior ragione in
veste strumentale e quindi ben lontano dalla “rassicurante”
forma-canzone (impossibile non battere il piede o scuotere la testa
sull’incalzante ritmo di “Novus”, tanto per fare un esempio
della capacità di trascinamento della band). Ed alzi la mano, a
questo proposito, chi – ormai qualche decennio fa – ha realmente
consumato o comunque ascoltato senza alcuna difficoltà, i dischi dei
precursori e forse capostipiti del genere, i Don Caballero,
pacificamente ritenuti tali, soprattutto per l’originale miscela di
Noise e (ciò che sarebbe stato successivamente classificato come)
Math, analogamente riproposta dai Nadsat.
Se
quello era dunque il pregio di “Crudo”, con il suo successore,
“Feral” (che traduco – dall’inglese – in “ferino” o
“selvaggio”), il duo bolognese cambia decisamente rotta, oltre
all’etichetta (ora la Subsound Records, in coproduzione con gli
stessi Nadsat e il loro tecnico di studio, Enrico Baraldi, presso i
Sotto il Mare Recording Studios & Waiting Room Audio di
Villafranca, già noto agli appassionati del genere, anche per
suonare il basso e la chitarra baritona negli Ornaments).
Un
cambio di rotta, dicevo, all’insegna anzitutto dell’inasprimento
dei suoni e di una netta accelerazione della velocità di crociera
della band, che si cimenta in soluzioni ritmiche sempre più
complesse (qui più Math, che Noise), complice l’innalzamento
evidente del livello tecnico e dell’intesa fra i due, a suon di
date accumulate pure all’estero per la promozione di “Crudo”.
Una crescita, questa, testimoniata anche dall’ingresso di Michele
Malaguti, il chitarrista, nella rosa di endorser di un marchio
di chitarre artigianali, la fiorentina Nude Guitars, con il suo
stravagante e innovativo catalogo di strumenti dal manico in
alluminio, specificamente progettato per aumentarne la risonanza.
Soprattutto
sul piano ritmico, “Feral” si propone quindi fin dal primo
ascolto come un disco molto più complicato e spigoloso di “Crudo”,
un disco – per dirla in parole povere – che mette alla prova, ma
che al contempo – complice forse la sua breve durata, come in
“Crudo” al di sotto dei 40 minuti – continua a tenere in
sospeso l’ascoltatore, accompagnandolo rapidamente dall’inizio
alla fine del platter e in questo caso proiettandolo, per così
dire, in una sequenza di ambienti sonori, che sia per la “ferocia”
delle distorsioni (ancor più spesse e rumorose che in “Crudo”),
sia per l’ossessivo ripetersi di certi fraseggi (cito, per esempio,
le due note su due, che vanno ad introdurre convulsamente la seconda
traccia, “Golem”), sembrano costringerlo a uno stato di fuga,
dirigendolo e incalzandolo verso un orizzonte che mai raggiungerà,
di traccia in traccia ed anzi gli sprofonderà sotto i piedi –
anche con la saturazione totale dei volumi nella reprise in
coda all’ultimo pezzo, “Rosengarten” – fino al definitivo
annichilimento sonoro: così mi piace interpretare pure l’immagine
di copertina del CD, che mi giunge in formato digipack e nella
quale intravedo la sagoma di un volto trasfigurato, in mezzo a dei
frammenti di carta stracciata con primitiva violenza, mentre la
tracklist – composta, come già in “Crudo”, da titoli
curiosi o di non facile comprensione – sembra evocare una serie di
entità o divinità mostruose, a completare questo scenario
distruttivo (“Rhino”, “Golem”, “Ogun”).
La
complessità ritmica, che certamente mette in particolare risalto il
tentacolare stile del batterista, Alberto Balboni, si snoda
prevalentemente in sequenze sincopate, tempi dispari e in levare, per
certi versi riconducibili all’Industrial dei Therapy? in “Nurse”
(vd. “Ogun”) o al Crossover dei Primus in “Pork Soda” (vd.
“Brento”), se mi è concesso utilizzare etichette più consone al
mio decennio di formazione musicale (ovviamente gli anni ‘90),
anziché i tag con cui gli stessi Nadsat classificano la loro
proposta (Experimental, Noise, Math, Jazzcore); il tutto va a
scandire un assalto sonoro – a tratti di helmetiana memoria (vd.
“Bateman”) – più o meno costante per l’intera durata del
platter, salvo alcuni intervalli più atmosferici e di tregua
“apparente”, accompagnati dall’uso di Droni e Synth sullo
sfondo (vd. “Hooves”), dal “congelamento” di armonici
lancinanti con un sound retainer (vd. “Rhino”, già
anticipata dal vivo a Carugate e in cui Michele ripropone il suo
pedale Freeze, ormai un marchio di fabbrica) o persino di silenzio, a
suo modo comunque assordante (vd. l’interludio a metà della già
citata “Golem”: un minuto scarso di rumore sordo ed isolati colpi
di batteria talmente riverberati, da risuonare come l’eco di passi
inquietanti in un ambiente confinante a quello in cui il fuggitivo di
cui sopra, ha forse cercato un momentaneo riparo, prima d’essere
nuovamente sorpreso dal suo predatore, qui con sembianze
“gollumiane”).
E’
tuttavia difficile un esame track-by-track (e qualsiasi
giudizio, a maggior ragione un voto, suonerebbe prematuro), perlomeno
dopo una manciata di ascolti a caldo, in cui pezzi come “Vostok”
e “Furia”, peraltro i più frenetici e Hardcore del disco, forse
non spiccano immediatamente rispetto agli altri, riproponendo schemi
già tracciati nella prima metà del platter, ma a conferma
del suo spessore, la sensazione è che ascolto dopo ascolto il
livello di gradimento dell’album possa soltanto crescere e in
misura esponenziale. A un primo approccio, l’alto tasso di
sperimentazione, sia a livello ritmico, che nel saper “domare”
musicalmente rumori e dissonanze pur portati all’estremo, sembra
voler proporre in “Feral” anche un disco di possibile
transizione, verso un album che sappia coniugare gli indubbi pregi
tecnici del duo (che spero di poter al più presto riassaporare in
concerto), con la “crudezza” dell’opera precedente (che rimane
a mio parere di più facile accostamento), magari approfondendo pure
quella dose di melodia, di cui solo per un catartico frangente (in
“Hooves”, a 2’35’’), i Nadsat ci concedono un assaggio (e
che assaggio…), svelando d’essere ancor più immensi, di quanto
già non appaiano (e va ricordato che stiamo parlando di un gruppo di
due soli elementi…).
Questo
vuol essere soprattutto un sincero augurio, per una band che ha
comunque più di un motivo per sentirsi, per così dire, già
“appagata” da un’impresa del livello di “Feral”,
autodefinendola – nel press kit giratomi da Giusy – come
“la massima espressione di ciò che sono i Nadsat al momento
attuale” e solo in questa prospettiva – a richiesta del Blog –
concludo esprimendo un voto.
Noise
Matters!
Cesare Businaro
9/10
Articolo ad opera di Giusy Elle