martedì 21 ottobre 2014

37. BLUES1: Bob Cillo e il suo Treno Merci


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Quando l'Acqua incontra la Musica

   E' da tempo che volevo iniziare una sezione dedicata al blues, visto che in campo nazionale ci sono duo elettrici molto interessanti in questo settore. E' arrivata finalmente l'ora di aprire le danze, e cosa di meglio che farlo con un amico (anche se solo "in rete") di vecchia data come Bob Cillo? L'occasione l'uscita del suo ultimo album "A Place for Loitering" in esclusiva edizione su vinile, che ci verrà presentato nei particolari dal nostro nuovo recensore EDP, Marsuel Papel (qui la recensione e qui la presentazione dello staff).
   Bob Cillo non è certo una giovane leva dell'underground (classe 1969) ma uno che la gavetta se l'è fatta da molto tempo e che ora nel campo musicale suona e ci lavora. La formazione dei DIRTY TRAINLOAD è molto dinamica, sempre in bilico tra one-man band e duo. L'idea nasce infatti nel 2006 quando Bob, chitarrista barese di formazione blues, insoddisfatto delle collaborazioni fino ad allora intraprese, avvia il suo progetto da solista. Avendo qualche problema col canto, si autodefiniva, in maniera del tutto ironica, un "half-man band"... mentre la sua strumentazione comprendeva, oltre ovviamente alla chitarra, una loop station e vecchie drum machine.
   Tornato in Puglia da Roma il cantante armonicista Marco del Noce, con il quale il nostro "tuttofare" aveva già collaborato in precedenza, si appassiona al progetto di Bob e i due uniscono le proprie forze sfornando in pochi mesi "Rising Rust" (Side 4 Records), il loro album di debutto, con la sapiente produzione di Fabio Magistrali. Eccoci quindi di fronte alla prima formazione a due, anche se non ancora nella versione da noi tanto amata di chitarra e batteria. La musica proposta è ovviamente di matrice blues (Bob è da sempre stato ispirato dalla "scuola" della label americana Fat Possum) ma intraprende una strada creativa assolutamente personale; personalissimo è anche il sound, caratterizzato, come si diceva, dall’uso di loop, di vecchie drum machine analogiche e contaminato da una propensione lo-fi derivante da ambienti alternative e garage-punk: un “progressive” blues, “contaminato” e sporco, ma viscerale e autentico nello spirito.
   Ricevuti ottimi riscontri dalla stampa, anche internazionale, i due si impegnano in un’intensa attività live intraprendendo tour che li portano nelle principali città Italiane e in molte altre europee tra cui Zurigo, Berlino, Londra, Brighton, Parigi-Beauvais e Copenhagen; in Inghilterra registrano due session per il radio show-podcast americano Breakthru Radio.
   Da qui in poi il Treno Merci di Bob vede avvicendarsi alla batteria diversi personaggi mentre lo stesso Bob, superato l'ostacolo del canto, tra una formazione e l'altra si esibisce come one-man band.
   L'accoppiata più longeva (tre anni) inizia nel 2009 con Livia Monteleone, line-up con la quale ho avuto modo di conoscere i Dirty. Livia è di orgine pugliese e conosceva Bob da molti anni; trasferita in California fin da ragazzina, acquisisce cittadinanza americana, ma i due restano sempre in contatto. A lei era piaciuto molto l'album “Rising Rust” e Bob ammirava da sempre il suo straordinario talento di cantante, compositrice e poli-strumentista per cui, quando Marco lo lasciò orfano di metà band, fu una cosa spontanea pensare a Livia quale nuova band-mate. Livia, come si diceva, è polistrumentista, e pur non essendo una batterista canonica oltra a cantare si esibisce su un drum set molto minimalista: suona in piedi la grancassa e il charleston mentre con le mani libere si avvicenda al banjo, alla chitarra baritona, come può suonare tanto l'armonica che percussioni varie... quanto basta però per definire finalmente i Dirty Trainload una 2-piece chitarra-batteria... I due approdano negli USA esibendosi in California, a Chicago e al prestigioso Deep Blues Festival di Minneapolis. Frutto di questa collaborazione a quattro mani è infine l’album "Trashtown" (Otium-CNI) del 2011, sempre con produzione di Fabio Magistrali.
   Dopo la defezione di Livia, Bob suona nuovamente come one-man e nel contempo prepara brani per il successivo album; sente però la mancanza della dinamica e della profondità di una batteria vera e propria quindi si avvale dell'aiuto di Go Balzano ('85) per la registrazione del nuovo album "A Place for Loitering", di recentissima uscita e pubblicato solo in vinile. La caratteristica di Balzano è quella di essere riuscito a sviluppare una tecnica singolare in grado di suonare in sync con i loop ritmici delle vecchie rhythm-box di Bob. Balzano è coproduttore dell'album e membro a tutti gli effetti dei Dirty Trainload, che ora vengono alimentati da questo nuovo macchinista... Per concludere diciamo che Bob per lavoro realizza video professionali ed è titolare dello studio di produzione audiovisivi TV EYE di Bari.
   Possiamo passare quindi, ora, alla piacevole chiaccherata col nostro bluesman per vedere assieme cosa ha da dirci sulla sua ricerca sonora, sul suo concetto di duo e molto, molto altro ancora. A voi la colta intervista con Bob Cillo dei Dirty Trainload!


VIDEO (di brani non presenti negli album dei DT. Frutto di una session di registrazione con Antonio Marino, batterista del duo elettrico campano MAYBE I'M, session da cui è tratto anche il brano "The Futty Arbuckle Scandal" presente nella nostra compilation freedownload EDP Vol.1):

"Commit a Crime" (Howlin' Wolf Cover)https://www.youtube.com/watch?v=tcyYgHkU3as

"Special Rider Blues" (Skip James) https://www.youtube.com/watch?v=5Sb5AEB2Cp0

Video demo di presentazione all'ultimo albumhttps://www.youtube.com/watch?v=7pYtfCQA5QE


QUI la nostra recensione all'ultimo album "A Place for Loitering"


INTERVISTA
1. Eccoci finalmente qui Bob, dopo tanti anni di contatti via mail finalmente ti presento all'EDP intero. Iniziamo con il chiederti quando ti sei approcciato alla chitarra e come ti sei appassionato alla musica blues, nello specifico quella dell'etichetta Fat Possum.
Ho avuto una specie di imprinting blues: quando avevo otto o nove anni mio fratello maggiore portò in casa un’audiocassetta di Big Bill Broonzy di cui mi innamorai; cercavo di riprodurre quello stile chitarristico incredibile con gli scarsissimi mezzi di un bambino che strimpellava i primi accordi basilari su un rottame di chitarrina classica. All’età di dodici anni scoprì un’altra cassetta di mio fratello, Rock’n’Roll Animal di Lou Reed e allora venni folgorato in maniera irreversibile dal rock’n’roll. Nel mio percorso di musicista, negli anni, mi è venuto spontaneo cercare di trovare un punto d’incontro tra i due mondi paralleli da cui ero fortemente attratto, il blues delle radici che è sempre rimasto nel mio cuore, e il rock dallo spirito anarchico, trasgressivo e irriverente di band come Velvet Underground, Stooges, New York Dolls, etc. Le produzioni Fat Possum sono arrivate in tempi relativamente più recenti e sembravano alimentare la mia ricerca musicale con nuova linfa vitale; finalmente potevo ascoltare un “nuovo blues”, suonato con l’approccio e l’attitudine “proto-punk” che avevo sempre ammirato in maestri come Hound Dog Taylor.

2. I Dirty Trainload nascono da principio come one-man band (e negli anni si ripropone, tra una formazione a due e l'altra) per cui hai dovuto ricercare un tuo modo di suonare più strumenti. Vediamo spesso chitarristi che con i piedi suonano grancassa e charleston e, specie se blues, aggiungono pure l'armonica a bocca. Tu invece ti sei avvalso di apparecchiature elettroniche, seppure di origine vintage: ci racconti come hai raggiunto questo suono?
Come tu dici giustamente, cercavo una soluzione personale, una strada diversa da qualunque altra. Acquistai una loop station senza sapere cosa ci avrei fatto e come prima cosa cancellai tutti i preset di fabbrica. Pensai di costruire l’ossatura ritmica dei brani con alcune vecchie “rhythm box” analogiche, come quelle che si usavano con i vecchi organi. E’ un’elettronica grezza, dallo spirito rock’n’roll, nulla a che vedere con le meline luminose. L’uso dei loop comunque non mi impedisce di suonare ogni tanto l’armonica e di utilizzare una percussione con un pedale di grancassa.
Credo che questa idea abbia le radici in uno straordinario concerto di Alan Vega che vidi a metà degli anni ’80. Alan era accompagnato solo da un chitarrista elettrico e da una rudimentale drum machine ma il risultato era assolutamente devastante. Penso che quel concerto mi abbia fortemente ispirato, fondamentalmente decisi di portare le drum machine di Alan Vega e dei Suicide nel blues. Devo anche citare un concerto di Hugo Race del 1993, la prima volta che vidi suonare una loop station in modo interessante, lui suonava da solo creando una sorta di roots blues post-moderno. Alla base di tutto c’è l’idea che le rhythm box analogiche abbiano una forte analogia con lo stomp primitivo e minimale delle vecchie registrazioni di John Lee Hooker.

3. In duo non hai mai abbandonato l'uso della tua vecchia drum machine, pur avendo una semi-batteria come quella di Livia o il set intero dell'attuale compagno di viaggio Go Balzano. Come mai questa scelta? E quali gli escamotage dei tuoi batteristi per inglobare tutti i suoni e amalgamarli al loro drum set?
Per quanto mi riguarda ho iniziato ad usare vecchie drum machine per la voglia di adottare soluzioni nuove e di battere strade inconsuete, piuttosto che uniformarmi a seguire vie più comode; in secondo luogo le rhythm box costituiscono l’impalcatura su cui posso costruire i loop di chitarra, anche in presenza di un batterista. Il lavoro di Go Balzano e degli altri batteristi con cui ho collaborato in passato, non è affatto semplice; consiste nell’integrare in perfetto sincrono la ritmica acustica ai pattern elettronici. Ciò comporta una serie di problemi sia di ordine sonoro che ritmico. Naturalmente la drum machine non va intesa come un mero surrogato della batteria tradizionale ma ha un suo spazio ben definito nel sound della band. La batteria deve rispettare lo spazio della drum machine sperimentando sonorità insolite che vadano a differenziarsi il più possibile dai loop.
In una rock band tradizionale un buon batterista riveste il ruolo di “ruota motrice” mentre in Dirty Trainload la batteria ha l’arduo compito di aggiungere calore, dinamica, carica e feeling ai loop elettronici e al contempo mantenere il ritmo metronomico, senza lasciarsi tentare da accelerazioni. Per fare tutto ciò su un palco è indispensabile un buon sound check. Nel nostro repertorio c’è comunque qualche brano che suoniamo senza né loop né drum machine, è il caso ad esempio di “The Ballad of John Hardy”, presente sul nostro ultimo album.

4. So che con Livia, polistrumentista, avete lavorato molto per trovare il sound giusto, ci racconti qualcosa di quel periodo?
Livia è una grande musicista, creativa, attenta e scrupolosa; riesce a districarsi con naturalezza e disinvoltura tra percussioni di varia natura, chitarra baritona, banjo e canto. Per me è stato un grande onore collaborare con lei, insieme formavamo una coppia davvero stacanovista, avevamo la determinatezza di rimanere rinchiusi in sala prove per ore. Naturalmente questa nostra dedizione al progetto ha portato i suoi frutti: “Trashtown”, l’album che abbiamo realizzato a quattro mani, è caratterizzato da un suono molto fresco e personale. Sono convinto che una band per funzionare debba trascorrere molto tempo in sala prove, non esistono scorciatoie.

Livia e Bob
5. Con Livia i Dirty sono sbarcati nel Nuovo Continente, finalmente il bluesman nostrano approda nella terra d'origine della musica che suona. Com'è stata, nell'insieme, quell'esperienza? In cosa ti ha arricchito?

Abbiamo riscosso apprezzamenti e raccolto grandi soddisfazioni, abbiamo suonato fianco a fianco con alcuni dei musicisti che più ammiro al mondo. Viaggiare per suonare ed incontrare un pubblico nuovo, interessato ad ascoltarmi, è la più grande gratificazione che ricavo dalla mia attività musicale.

6. Sia da solo che in coppia i Dirty hanno calcato palchi di tutta Europa, oltre che quelli d'oltre Oceano: hai riscontrato diversità tra il pubblico nazionale e quello straniero?
Non amo, da musicista, esprimere valutazioni sul pubblico; credo che se un live non funziona è quasi sempre responsabilità di chi suona. Ogni pubblico reagisce alla musica in modo differente, probabilmente esiste un po’ di retorica quando si parla di “pubblico freddo” e di “poveri musicisti geniali incompresi”. Suoniamo in luoghi che sono il nostro habitat naturale come festival, sale da concerto e centri sociali e ci è capitato anche di suonare alle 4 di pomeriggio in un giardinetto affianco ad una giostra per bambini: ogni esperienza diversa è una sfida che il musicista deve imparare a gestire e a volgere in positivo, per quanto possibile. Suonare davanti a cinque persone o in una piazza gremita non deve avere alcuna rilevanza ai fini della performance.
E’ pur vero che da spettatore ho riscontrato, ad esempio, che il pubblico britannico è generalmente più attento e preparato del nostro, mi sono trovato nella condizione di dover spiegare a qualche amico musicista inglese: “non prenderla personalmente, l’audience italiana è spesso distratta e rumorosa”.

7. Tra one-man, duo e full-band, possiamo dire che hai sperimentato tutte le formazioni possibili per una band; quali i pro e i contro di ognuna?
Suonare come one man band è una sfida molto stimolante: occorre liberare da soli l’energia di una band al completo, sia in termini di presenza sulla scena che di impatto sonoro. Un one man band è potenzialmente più produttivo perché le idee nascono velocemente e tutte le decisioni possono essere prese con rapidità, senza dover superare il vaglio degli altri componenti della band. E’ possibile salire su un palco e seguire l’onda emotiva del momento senza dover necessariamente seguire una scaletta predefinita: si può far durare un brano il doppio del tempo oppure interromperlo nel bel mezzo e nel preciso istante in cui ti gira in testa: tutto avviene in modo più puro, senza compromessi. Per le prove ci vuole autodisciplina, che io non sempre riesco ad impormi. In alcune situazioni viaggiare soli ed aspettare di salire su un palco in solitudine può avere una vena un po’ malinconica. Al contrario, viaggiare con una band al completo è un divertimento, quando si hanno i giusti compagni di cordata si trascorre insieme del gran “good time”. Esibirsi è più semplice perché basta avere consapevolezza del proprio ruolo e ogni membro della band fa la sua parte che concorre alla riuscita della performance. Talora però il processo creativo può diventare di una lentezza esasperante, per la difficoltà di mettere d’accordo più teste e di dover fare i conti con diverse esigenze personali. La formazione in duo è una sanissima via di mezzo: doversi relazionare con un compagno di band sviluppa un’interazione virtuosa che arricchisce il processo creativo senza appesantirlo ed il lavoro rimane più agile, snello e dinamico rispetto a quello di una band al completo. Splendida analisi...
C’è da aggiungere che praticamente trasporto sempre la stessa strumentazione di una full band anche quando suoniamo in due o sono solo, il che implica lo svantaggio di doversi far carico di qualche quintale di backline!

8. Come vedi l'attuale panorama della musica blues qui in Italia? Ricordiamo che c'è blues e blues, quello fedele alle origini, il Delta blues, come quello più rude di stampo garage, a te più affine...
Sicuramente sul territorio nazionale abbiamo delle eccellenze, mi vengono in mente ad esempio Angelo “Leadbelly” Rossi o i Blue Stuff di Mario Insegna. Ci sono anche ottime band a noi geograficamente vicine, in Puglia, Calabria e Basilicata. Purtroppo però devo dire che il panorama blues nazionale è piuttosto squallido. Generalmente in Italia si ascolta un blues slavato, asettico, edulcorato, noioso e scolastico, emulo improbabile di modelli e cliché inflazionati. Ci sono troppe cover band, ma questo vale anche per gli altri generi musicali. In USA o in UK, il livello generale è enormemente più alto, questo è comprensibile, sono i paesi che raccolgono direttamente l’eredità culturale del blues. Proprio perché non possiamo competere con loro, dobbiamo cercare un linguaggio personale, una strada alternativa in cui trovi posto la nostra sensibilità, un po’ come hanno fatto i musicisti africani; solo a queste condizioni il nostro blues diventerà “esportabile” e potrà essere apprezzato dal pubblico di tutto il mondo. Naturalmente ci sono anche ottimi progetti a noi concettualmente più vicini, come tu dici, caratterizzati da un blues più “deviato” e personale. Solo per citare i primi nomi che mi vengono in mente, di recente ho ascoltato ottimi album prodotti dal one man band romano Gianni, The Blues Against Youth, dal duo Alice Tambourine Lover da Bologna e dal duo campano Maybe I’m, con cui abbiamo anche avuto occasione di collaborare.

Bob e Go Balzano
9. Parlaci del tuo nuovo album “A Place for Loitering”, come sono nati i brani, come l'incontro col nuovo batterista?
Proseguire la collaborazione con Livia, con un oceano di mezzo e una distanza intercontinentale da ricoprire, purtroppo era divenuto troppo impegnativo per entrambi. Ciò mi ha dato lo stimolo a compiere il passo definitivo per agguantare il microfono e iniziare a cantare, ho cominciato ad esibirmi da one man band con maggiore assiduità e convinzione rispetto al passato ed ho creato un repertorio completamente nuovo. Durante il “periodo di rodaggio” ho fatto una session di registrazione con la collaborazione di Antonio Marino, batterista di Maybe I’m, da cui sono nati i video clip “Commit a Crime” e “Special Rider Blues” ed il brano “The Fatty Arbuckle Scandal”, che compare sulla compilation EDP Vol.1, ed è stato originariamente prodotto per la compilation che celebra la cinquantesima release della Lepers Produtcions. Tutto era ormai pronto per la registrazione di un nuovo album. Il materiale era stato concepito in assetto da one man band ma desideravo portare su disco maggiore dinamica e profondità di quella che avrei potuto ottenere con le sole rhythm box. Go Balzano è un batterista barese di estrazione rock’n’roll, collaboravamo già in un side project, gli proposi di saltare sul carro e così i Dirty Trainload sono tornati ad essere un duo. Balzano è un grande amico, una persona con un carattere eccezionale, ha profuso notevole impegno per la registrazione e si è offerto di co-produrre l’album. La produzione artistica è come sempre opera di Fabio Magistrali, anche lui grande amico e probabilmente da considerarsi da sempre “terzo membro occulto” della band. I brani parlano per lo più di amori impossibili e di città invivibili, tema già ricorrente nel precedente album; città dove non è ammesso soffermarsi in attività non produttive (“loitering”). Questa immagine è rappresentata dall’illustrazione di Benjamin Guedel di Zurigo, anche lui ormai da anni un assiduo collaboratore di Dirty Trainload.

10. Come mai avete deciso per la stampa su vinile?
Da ragazzo il mio amore per la musica trovava sfogo nell’acquisto di questi oggetti stupendi che sono i dischi in vinile. Dopo aver attraversato l’era del CD, in un momento in cui il jewel box appare in netto declino e la musica sembra definitivamente “smaterializzata” nella rete, ci è venuto spontaneo tornare a guardare al vinile, inteso come “oggetto da desiderare” e supporto tangibile ideale a contenere e rappresentare la nostra musica. Con mia sorpresa ho scoperto anche che la compressione, la ridotta dinamica e la gamma di frequenze più “concentrata” del vinile, giovano al nostro sound e al suono della chitarra in particolare.

11. Avete in programma un video-lancio dell'album?
Sì, abbiamo due o tre idee in cantiere che speriamo di poter realizzare nei prossimi mesi. Il “lancio” vero e proprio è ormai partito ma speriamo di poter presto integrare con un “complemento visivo”.

12. E a quando il tour promozionale? Si svolgerà tutto in terra nazionale o, come per gli altri album, avete in programma date all'estero?
Sicuramente ricominceremo la nostra attività live in autunno-inverno per portare in giro i nuovi brani; attendiamo conferma di alcune date a Febbraio in Finlandia ed Estonia.

13. Come si è sviluppata la tua musica in questi otto anni di Dirty Trainload attraverso le tue tre pubblicazioni?
La nostra ricerca musicale si basa su un’interazione di tre fattori: “blues, avant-garde e punk”; in altri termini cerchiamo di assimilare lo spirito del blues delle radici e reinterpretarlo in una chiave creativa, attuale ed inedita, senza rinunciare alla fisicità e all’attitudine del garage punk rock.
“Rising Rust”, il nostro album di debutto del 2007 è stato, per quanto mi risulta, il primo album prodotto in Italia ad avere questi connotati. Prima di registrare cercavamo ancora di definire il nostro sound, avemmo la fortuna di incontrare il producer giusto, Fabio Magistrali, che poi è diventato nostro punto di riferimento per tutti questi anni. Il Magister seppe valorizzare la componente grezza e sporca del nostro sound, mettendo in luce le chitarre, elemento cardine dell’impianto sonoro. Sembrerebbe banale ma in realtà non è affatto facile trovare in Italia chi sa gestire una chitarra elettrica distorta ed aggressiva in una sala di registrazione o su un palco live. Scegliemmo anche di rinunciare all’acustica asettica di un comune studio e registrammo in presa diretta nella sua casa. Ne è venuto fuori un suono potente e personale che ha aperto la strada a ciò che abbiamo sviluppato in seguito. Il sound di “Trashtown”, il secondo album, è ulteriormente arricchito da una singolare componente acustica, armoniosamente fusa in sonorità super elettrificate; un lavoro di produzione raffinato, se di raffinatezza si può parlare nel nostro caso. Il nuovo “A Place for Loitering” è il nostro primo lavoro suonato con una vera e propria batteria “full blast” ad integrazione delle rhythm box; è un disco semplice e sincero, forse torna un po’ alle sonorità grezze degli esordi ma qui il song writing è più maturo.

14. Bella chiacchierata, caro amico Bob. Ti ringrazio per la cortese presenza qui sull'EDP, ti auguro ogni buona cosa per te e la tua musica e ti lascio concludere con parole tue. Al prossimo, felice incontro!
Grazie Giusy, complimenti ancora per il tuo impegno con EDP, ci fai sentire parte di una grande famiglia, speriamo di incontrarci presto su qualche palco! Chi fosse interessato al nostro nuovo album può ascoltarlo gratuitamente in streaming o acquistarlo al link: dirtytrainload.bandcamp.com



DISCOGRAFIA
Tutti gli album con produzione di Fabio Magistrali e la cover disegnata dall’illustratore svizzero Benjamin Güdel.

RISING RUST 2007, Side 4 Records
Bob Cillo e il cantante armonicista Marco Del Noce.

1.Police Car 2.I Asked for Water, She Brought me Gasoline 3.Waiting All the Time 4.Rising Rust 5.Tv Screen Watcher 6.Luna-tic 7.These Boots are made for Walking 8.Mad Man Blues 9.Bad Thoughts About Irene



TRASHTOWN 2011, Otium-CNI
Bob Cillo e la cantante/polistrumentista Livia "Noisance" Monteleone.

1.Trashtown 2.Hard Working Time 3.Gotta Go 4.Had it Coming 5.Stranger's Blues 6.Lullaby 7.The Mayor's Son 8.44 9.Mad Ride 10.Wing Dance 11.Bitch 12.What 13.This Jail





A PLACE FOR LOITERING 2014, Side 4 Records
Bob Cillo e il batterista Go Balzano.

1.Dead Rat Blues 2.The Ballad of John Hardy 3.Eleanor, Bring your Garbage Out 4.Big Road Blues 5.Tractors Downtown 6.I'm working on it 7.You Only Live Twice 8.When the Saints Go Marching In 9.World Wide Vision Crime 10.If I Had Possession Over Judgement Day





Video demo di presentazione all'album youtube.com/watch?v=7pYtfCQA5QE


Articolo ed intervista ad opera di Giusy Elle

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