mercoledì 15 giugno 2016

107. Blues3: i RIVERWEED e il loro Mississipi


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BIOGRAFIA
   Il duo che andiamo a presentare oggi nasce a Treviso a fine 2014 da due giovani dall'aspetto molto simile: Alessandro Cocchetto (classe '85) e Filippo Ceron ('86), rispettivamente chitarra e batteria del duo, entrambi alternati al microfono. Messi assieme sono i RIVERWEED.
   La loro musica parte dal rock ma si ispira al delta blues delle origini mentre il tutto viene sporcato da un approccio tipicamente garage, influenzato da gruppi cult per la line-up, quali i White Stripes e i Black Keys. Si lasciano influenzare anche dalla musica indiana od africana con musicisti quali Ali Farka Touré o i Tinariwen.
   Bluesmen nazionali, identificano il Sile con il proprio Mississipi dal quale attingono le sonorità, pur rileggendole in chiave contemporanea e personale. Dal frutto di queste intenzioni nasce Full Moon, l'ep d'esordio della band, un 6 pezzi autoprodotto per 23 minuti d'ascolto. Si distingue positivamente la seconda traccia, nel genere funky. I testi, in inglese, narrano di un mondo di erba e fango, di un fiume placido sotto la luna piena, di uomini che distruggono il pianeta, situazione dalla quale si può fuggire soltanto riscoprendo la natura. Una natura alternata ai capannoni industriali della loro terra, dai quali contrasti dicono di ricevere la propria ispirazione.
   I ragazzi hanno fatto un buon lavoro sui suoni presentandoci una chitarra bella cicciona, grazie a un fuzz molto sporco e all'escamotage ormai diffuso tra i duo di sdoppiare il segnale della chitarra in un ampli da basso e l'uso di un octaver. Il loro approccio musicale si basa sulla spontaneità ed improvvisazione rendendo i Riverweed una band particolarmente efficace dal vivo.
   Pubblicato il 7 ottobre 2015, Full Moon è stato registrato in analogico e in presa diretta all'Outside Inside Studio di Biadene (TV) sotto la supervisione di Matteo Bordin. Per chi non lo conoscesse si tratta del chitarrista dello storico duo veneziano MOJOMATICS, fondato nel 2003 e purtroppo sciolto di recente dopo undici anni di attività. Loro proponevano un garage rock mescolato a hillbilly blues, old country, folk e bluegrass iniettati con la melodia del pop anni '60 tipica della British Invasion. Erano conosciuti nell'Europa intera dove avevano calcato numerosissimi palchi durante i loro tour. Certo è che i Riverweed non potevano trovare mentore migliore a battezzo del proprio progetto a due! Artwork e grafica sono invece opera di Leonardo Marzi che ci delizia con un simpatico disegno combinato tra un pesce e la luna piena (si tratta di un pesce-palla?), a rimando dell'iconografia base della band e del titolo dell'album stesso.   Procediamo ora con l'intervista ad Alessandro Cocchetto e Filippo Ceron del duo trevigiano Riverweed e a seguire con la recensione al loro Full Moon ad opera del batterista dei SAMCRO, Nicola Cigolini.

The Mole” live @SpazioZero Oderzo https://www.youtube.com/watch?v=ZCuI91ev1zY



INTERVISTA
1. Un saluto a voi, Alessandro e Filippo e benvenuti qui all'Electric Duo Project. Per iniziare a conoscerci, raccontateci degli ascolti musicali che vi hanno portato fino ai Riverweed. Ciao ragazzi, e grazie per l’invito.
Alessandro: Io ho iniziato a suonare col buon vecchio Jimi Hendrix, Con lui è iniziata la passione per il rock degli anni 60 e 70 e tutti quindi i grandi gruppi dell’epoca. A seguire il rock più duro, dal metal allo stoner. Per me i grandi riferimenti contemporanei sono White Stripes, Black Keys, Queens of the Stone Age, Bud e Jon Spencer Blues Explosion più un’infinità di gruppi che è lunga da elencare. Più musica si ascolta meglio è!
Filippo: Da piccolo ovviamente ho subito l’influenza dei miei parenti e tutto quello che ascoltavano loro ascoltavo anch’io. Per cui poi ho “subito” tutto quello che passava per radio o per l’allora Video Music. Quando ho avuto potere decisionale ho iniziato ad esplorare il metal e soprattutto il prog. Negli anni successivi ho fatto un percorso inverso e ho riscoperto tutta la musica che avevo sentito da piccolo ma che non avevo mai “ascoltato”, inclusi i grandi classici, il blues e il jazz, passando per il funk e la fusion. Da allora qualunque cosa stimoli il mio appetito merita approfondimento.

2. Cosa ascoltate invece attulamente? F: In genere ascoltiamo blues, soprattutto Alessandro, e più è vecchio meglio è. Però non tutto il blues, prevalentemente il blues del nord del Mississippi (R.L. Burnside, Bukka White, Mississippi Fred Mc Dowell) e il delta degli anni 30-40 di Son House, John Lee Hoocker, Blind Willie Johnson ecc. ecc. Ma siamo piuttosto curiosi per cui non ci piace limitarci a un genere. Come tutti gli amici, poi, non manchiamo di scambiarci musica e nomi di album o artisti che scopriamo di tanto in tanto.

3. Come vi siete conosciuti e come è nata l'idea di fondare proprio un duo? A: Ci siamo conosciuti circa 6 anni fa, quando nel 2010 dopo varie vicissitudini ci siamo trovati a suonare nello stesso progetto. All’epoca suonavamo del rock abbastanza mainstream, ma eravamo quattro ragazzi giovani e alla fine il progetto è naufragato. Dopo quasi un anno senza vederci, ci siamo ritrovati per un ultimo progetto prima della partenza all’estero dell’allora cantante del gruppo. Il bassista era nel frattempo trasferito altrove e anche Filippo era stato all’estero per un periodo e non sapeva ancora quanto si sarebbe fermato in Italia. Alla fine abbiamo iniziato a trovarci per qualche suonata senza impegno, delle jam in due che all’inizio non avevano alcun confine di genere, erano abbastanza prog in questo senso. A un certo punto queste jam si sono dirette verso un territorio sempre più blues, Alessandro aveva iniziato a raccogliere una strumentazione sempre più mirata verso un certo tipo di suono e ci siamo evoluti verso il sound di quelli che poi sarebbero stati i Riverweed. A poco a poco le jam si sono trasformate in prove vere e proprie e abbiamo iniziato a cantare sopra i pezzi. A quel punto abbiamo capito che rimanere in due sarebbe stata la soluzione migliore: riuscivamo a comporre molto velocemente, prendevamo decisioni molto in fretta e soprattutto guardavamo nella stessa direzione. Aggiungere un terzo o un quarto elemento avrebbe rischiato solamente di rovinare l’equilibrio che si era instaurato senza aggiungere nulla di significativo al sound. Per cui eccoci qui, in due, felicissimi del nostro sound.

4. Il nome della vostra band, Riverweed, si può tradurre con 'erbaccia fluviale'. Com'è che avete scelto proprio questo nome? A: Più che erbaccia fluviale sarebbe proprio l’alga di fiume, o meglio tutte quelle forme di vegetazione che crescono e vivono dentro il fiume, nell’acqua. Tra tutti i nomi che abbiamo messo sul piatto, questo era quello che ci convinceva di più sia per il significato (il blues è strettamente connesso al fiume, e il fiume sgorga dalle montagne e alla fine arriva sempre al mare, due luoghi a cui siamo entrambi molto legati) che per la sonorità. E a pensarci bene ci rispecchia: le alghe del fiume filtrano, nel bene e nel male, tutto quello che scorre nel fiume e noi facciamo così: filtriamo con la musica tutto quello che ci capita nella vita, bello o brutto che sia.

5. Per quanto riguarda il vostro Ep di debutto, Full Moon, oltre che alla palese influenza garage e blues, dichiarate di esser stati influenzati anche dalla musica indiana ed africana. In cosa consiste l'apporto musicale di queste culture, nello specifico dell'album? A: Nello specifico del nostro ep, in queste prime 6 tracce, è forse difficile percepire direttamente l’influenza di questi generi. Per me (Alessandro) la musica di Ali Farka Tourè, Boubacar Traorè, Tounami Diabatè è davvero importantissima, soprattutto nell’approccio ritmico nel suonare la chitarra, nel focalizzare l’attenzione su semplici linee melodiche ma con ritmiche più particolari. Il ritmo nella musica è tutto, è dove nasce tutto.
Per quanto poi riguarda la musica indiana è stata un’influenza molto importante nelle linee melodiche usate con lo slide, lo studio di alcuni raga indiani è stato di grande aiuto per una consapevolezza su altri approcci musicali.

6. Date molta importanza alla natura, nel vostro album, specie nei testi. Del resto la vivete ogni giorno uscendo di casa, nei dintorni del fiume Sile. Com'è che due giovani come voi vengono ancora positivamente ispirati dalla natura che li circonda? A: Secondo noi non è un caso isolato. Ci piace credere che le persone siano sensibili a questo tema, noi cerchiamo solo di ricordarlo, e a modo nostro diamo un tributo alla natura che ci dona quotidianamente nutrimento ed energia per vivere. La stessa musica che amiamo è fortemente legata alla terra, al fiume, ai sentimenti più basilari dell’essere umano. Senza la natura non ci sarebbe il blues, e non ci sarebbe nemmeno il legno che dà forma agli strumenti che suoniamo. Di sicuro non siamo il tipo di persona che viene ispirata mentre è in mezzo al caos e al cemento di una metropoli industriale. O meglio, probabilmente ne verremmo comunque ispirati, ma solo perché in quel momento preferiremmo mille volte essere in un bosco, in riva a un fiume o davanti all’oceano.

7. Avete un ottimo suono degli strumenti, è evidente che ci avete lavorato con intenzione. Quali sono i vostri accorgimenti per rendere in duo come in una full-band? A: che dire, è un segreto! No dai, scherzi a parte, senza entrare nei dettagli del mio set splitto il mio segnale di chitarra su due amplificatori e su uno dei due uso un octaver per emulare il basso. Quindi sotto certi aspetti siamo un trio: Filippo, io e il mio pollice che fa da bassista.
F: per me è abbastanza facile perché il grosso del lavoro lo fa Alessandro, io cerco solo di aprire le orecchie e non suonare troppo. Potrebbe sembrare che, essendo solo in due, la batteria debba riempire tanto ma spesso, almeno per noi, succede il contrario: lasciare una sezione ritmica non troppo piena dà più respiro alla melodia che nel blues è di sicuro la cosa fondamentale.

8. Come avete pensato e poi contattato un personaggio famoso come Matteo Bordin dei Mojomatics? Qual'è stato il suo prezioso contributo alla resa dei Riverweed e di Full Moon? In realtà siamo capitati da Matt quasi per caso: avevamo il pallino della registrazione in analogico e stavamo valutando delle soluzioni fai-da-te, magari usando dei vecchi registratori a cassetta, Girando per vari negozi per chiedere consiglio ci siamo imbattuti in un piccolo laboratorio che ci ha consigliato di andare all’OUTSIDE INSIDE STUDIO perché registravano su nastro e probabilmente ha fatto il caso nostro e solo una volta lì abbiamo scoperto che il proprietario era Matt. Di sicuro ci ha aiutati non poco a tirare fuori il suono che volevamo: la nostra intenzione era che il disco suonasse quanto più live possibile. Quando abbiamo visto come lavorava e il suono che ha tirato fuori praticamente subito, siamo andati sul sicuro.

9. Come si sta svolgendo il lungo tour nazionale a promozione dell'album? Dobbiamo ammettere di aver fatto tutto all’ultimo momento. Dopo aver autoprodotto Full Moon e averne stampate un po’ di copie un paio di mesi dopo eravamo in una fase di stallo. Di solito se hai un’etichetta o un ufficio stampa puoi pianificare l’uscita e pubblicizzarla in anticipo, mentre noi abbiamo fatto l’opposto. Ci siamo chiusi di nuovo in sala prove fino a che, verso dicembre, abbiamo incontrato un nostro caro amico che non vedevamo da tempo e che era rimasto entusiasta del nostro progetto e di come suonava il disco. Nel giro di poco è diventato il nostro manager e ha iniziato a cercare di farci suonare il più possibile per recuperare il tempo perso e pubblicizzare il disco. Entro l’inizio di febbraio siamo riusciti ad accumulare repertorio originale a sufficienza da reggere un live di almeno un’ora e mezza da soli e abbiamo cominciato a portare il nostro progetto in giro, per il momento principalmente in Veneto e Friuli, anche se prossimamente ci spingeremo un po’ più in là per la Penisola. Nel frattempo siamo riusciti ad avere qualche recensione, alcune anche molto positive, e giusto domenica abbiamo tenuto il trentesimo live. Siamo anche riusciti ad aggiudicarci lo slot d’apertura in qualche festival estivo per cui notiamo con soddisfazione che la nostra musica, quando ha l’occasione di farsi sentire, viene apprezzata. Purtroppo oggi sempre di più il pubblico è disinteressato alla musica, questo si sente ancora di più nei confronti della musica originale o di nicchia, per cui c’è da sudare ma chi ti ascolta lo fa con attenzione e ti ripaga dello sforzo.

Grazie infinite per il vostro contributo al nostro Progetto. Concludete pure con parole vostre e tanti in bocca al lupo per la vostra carriera! Grazie a voi per l’attenzione, ci fa davvero piacere sapere che ci sia qualcuno che supporta i progetti duo con tanta convinzione - anche noi ci troviamo benissimo in questa dimensione.
Se siete curiosi di sentirci, invitateci pure a suonare dalle vostre parti: siamo comodi da trasportare, molto simpatici e uno di noi è quasi astemio, quindi anche per voi sarebbe un costo minore.
Seguiteci su facebook, suoniamo spesso in giro e ci fa piacere conoscere altri musicisti e appassionati.



DISCOGRAFIA
FULL MOON 2015, Autoprodotto (Blues, Garage)

1.The Mole 2.Manipulate Me 3.Barefoot Blues 4.Homo Sapiens 5.Tank 6.Flower Dust





Ascolto e freedownload



RECENSIONE
RIVERWEED
FULL MOON (Autoprodotto 2015)
Genere: Blues, garage.
Voto: 6,5/10

Full Moon è il primo EP autoprodotto dai RiverWeed (al secolo Alessandro Cocchetto alla chitarra e alla voce e Filippo Ceron alle pelli e ai cori).
Musica ipnotica, in perfetto stile blues del profondo sud statunitense, contaminato da un garage rock che male non fa.
Piazzo il disco nel lettore e la prima cosa che mi cattura sono i riff cadenzati e sporchi di chitarra accompagnati da una batteria robusta e non banale che ci prepara ad un cantato stile Arctic Monkeys che un po’ mi fa vacillare: unire un genere completamente americano in stile e sonorità con cantati d’indierock inglese è un azzardo, che, se pur ben riuscito in certi aspetti, è sempre un azzardo che sinceramente mi lascia un po’ spiazzato.
Comunque continuo il mio ascolto di “The Mole” (primo pezzo del disco), un blues bello e ben tornito che però (e si riscontrerà anche in tutto il resto dell’album) non esplode mai; diciamo che del blues si sente la cadenza e la ripetitività senza però andare mai a scaturire nelle risoluzioni tipiche del genere, insomma manca un po’ di quella pacca che magari ci si aspetta in un duo di rockgarageblues.
Per chiudere la recensione si può dire che questo Full Moon è un buon lavoro, ottimo anche nei suoni (complimenti vivissimi a Matt Bordin, curatore di mixaggio e master), che però in alcuni tratti sembra un po’ acerbo, ma con ampissimi margini di miglioramento.
In bocca al lupo ai RiverWeed per una brillante carriera!

Nicola Cigolini






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Articolo e intervista ad opera di Giusy Elle


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