Nell'articolo precedente abbiamo avuto il piacere di intervistare Giovanni Succi, il fondatore nel 2004, assieme al compare Bruno Dorella, dei BACHI DA PIETRA, ormai duo cult nel panorama musicale underground italiano. Eccoci ora a presentare il loro ultimo lavoro discografico, il sesto in studio della loro carriera, Necroide, l'album della svolta definitiva dal blues noir al cantautorato metal.
La recensione
è ad opera di Mario Caruso, loro grande estimatore, chitarrista e
vocalist della band aretina blues rock Samcro.
Video:
“Black Metal il mio Folk”
https://www.youtube.com/watch?v=Xn2yuFK825w
“Danza Macabra”
https://www.youtube.com/watch?v=1mm4VZ-_kco
Contatti:
NECROIDE Settembre 2015
Cd/Digital: La Tempesta/Master Music
Lp: Tannen
Records-Wallace/Audioglobe (Black Metal)
Ascolto integrale di "Necroide"
1.Black Metal il mio Folk
2.Slayer & the Family
Stone
3.Fascite Necroide
4.Tarli Mai
5.Voodooviking
6.Apolcalinsept
7.Virus del Male
8.Feccia Rozza
9.Cofani Funebri
10.Sepolta Viva
11.Danza Macabra
RECENSIONE
BACHI DA PIETRA
NECROIDE (La
tempesta/Wallace/Tannen, 2015)
Genere: alternative
rock, metal.
Voto: 8,5/10
Dopo il maestoso Quintale
(La tempesta, 2013) viene da pensare se i Bachi da Pietra
riusciranno mai a fare un disco più riuscito di quello. Ebbene, è
una domanda che suona provocatoria ed è quasi impossibile
rispondere, poiché i due bachi Giovanni Succi e Bruno Dorella si
chiudono a chiave nel loro Necroide (La
tempesta/Wallace/Tannen, 2015) e, una volta terminato, lo buttano
fuori con così tanta violenza da lasciare interdetti pubblico e
critica, fino addirittura a dividerli. E’ veramente difficile
riuscire a fare una comparazione con gli altri dischi, poiché questo
album incarna la rivelazione di un percorso, di una lenta metamorfosi
proprio alludendo – ora come non mai – ad un baco, ma non da
seta, bensì da pietra: quella stessa pietra che rotola e prende
forma tra il plettro e le corde di Giovanni Succi, quella che batte
tra le bacchette e le pelli di Bruno Dorella, e che in questo disco –
nel suo rotolare tra riff corposi e suoni taglienti – si fonde a
poco a poco con i più duri tra i metalli. Da questo incontro/scontro
nasce un nuovo mix letale che è Necroide: ben undici brani
che trascinano all’esasperazione un concept profondo e più o meno
diretto che arriva fin da subito, ma allo stesso tempo, per
assimilarlo a pieno, richiede che il disco sia ascoltato per intero.
Black
Metal il mio folk apre il disco con ironia (forse parodia?), in
un certo senso come se i due bachi ci volessero presentare il loro
percorso e ci fornissero dietro le righe la chiave stessa per
comprenderlo. Seguono due brani che entrano di forza nel concept –
ormai chiaro all’ascoltatore, ma che non svelerò qui onde evitare
la sorpresa – Slayer & The Family Stone e Fascite
Necroide: si alternano delle sonorità cupe e martellanti dove
dentro aleggia lo spettro, oltre che dei chiaramente citati Slayer,
della violenza dei Sepultura, fino a toccare il periodo più
scuro dei Black Sabbath e le sfumature metal dei Motorhead.
Tarli mai smentisce decisamente coloro che sostengono che i
bachi abbiano totalmente abbandonato il rock-blues: innegabile che il
riff di chitarra, come il ritmo stesso, alluda ai riffettoni con la
barba degli ZZ Top. Voodooviking alza di nuovo il tiro
e cade su cavalcate alla Iron Maiden, mai troppo banali, ma
direi paradossalmente ricercate. Con Apocalinsect, proprio a
metà del disco, abbiamo una seconda sferzata ironica, con un brano
che potrebbe addirittura risultare sgradevole all’ascolto. Ma ciò
che un ascoltatore serio (anzi, seriale) avrà già intuito, è la
complessa e ricercata architettura di questo album: ogni cosa sta al
suo posto, e soprattutto nessuna scelta è stata fatta a caso. In
Necroide tutto ha un perché, anche questo brano centrale che,
infatti, lancia l’ultima discesa negli inferi a partire da Virus
del male, incappando nell’infiammata tripletta Feccia rozza,
Cofani funebri e Sepolta viva, per finire in una Danza
macabra.
Una volta ripreso fiato,
non si può fare a meno di realizzare che il livello di arrangiamento
musicale, come quello dei testi – dote ormai consolidata di
Giovanni Succi –, ancora una volta non si smentisce di una virgola,
nonostante il sottosuolo umido, fangoso e oscuro che fa da tappeto
all’intero disco.
In definitiva, i Bachi da
Pietra riescono a stupire ancora una volta, nel bene e nel male, nel
plauso e nella più aspra critica. Più che un miglioramento,
un’evoluzione, una metamorfosi, appare evidente il nuovo e
coraggioso passo nella crescita di una carriera che è destinata a
distinguersi e trovare gloria et onore nel melmoso panorama
indipendente italiano.
Mario Caruso
Articolo ad opera di Giusy Elle
electricduoproject@gmail.com
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