mercoledì 18 maggio 2016

104. RECENSIONE27: Necroide by Bachi da Pietra




   Nell'articolo precedente abbiamo avuto il piacere di intervistare Giovanni Succi, il fondatore nel 2004, assieme al compare Bruno Dorella, dei BACHI DA PIETRA, ormai duo cult nel panorama musicale underground italiano. Eccoci ora a presentare il loro ultimo lavoro discografico, il sesto in studio della loro carriera, Necroide, l'album della svolta definitiva dal blues noir al cantautorato metal.
   La recensione è ad opera di Mario Caruso, loro grande estimatore, chitarrista e vocalist della band aretina blues rock Samcro.

Video:
“Black Metal il mio Folk” https://www.youtube.com/watch?v=Xn2yuFK825w

Contatti:


NECROIDE Settembre 2015
Cd/Digital: La Tempesta/Master Music
Lp: Tannen Records-Wallace/Audioglobe (Black Metal)

Ascolto integrale di "Necroide"

1.Black Metal il mio Folk
2.Slayer & the Family Stone
3.Fascite Necroide
4.Tarli Mai
5.Voodooviking
6.Apolcalinsept
7.Virus del Male
8.Feccia Rozza
9.Cofani Funebri
10.Sepolta Viva
11.Danza Macabra


RECENSIONE
BACHI DA PIETRA
NECROIDE (La tempesta/Wallace/Tannen, 2015)
Genere: alternative rock, metal.
Voto: 8,5/10

Dopo il maestoso Quintale (La tempesta, 2013) viene da pensare se i Bachi da Pietra riusciranno mai a fare un disco più riuscito di quello. Ebbene, è una domanda che suona provocatoria ed è quasi impossibile rispondere, poiché i due bachi Giovanni Succi e Bruno Dorella si chiudono a chiave nel loro Necroide (La tempesta/Wallace/Tannen, 2015) e, una volta terminato, lo buttano fuori con così tanta violenza da lasciare interdetti pubblico e critica, fino addirittura a dividerli. E’ veramente difficile riuscire a fare una comparazione con gli altri dischi, poiché questo album incarna la rivelazione di un percorso, di una lenta metamorfosi proprio alludendo – ora come non mai – ad un baco, ma non da seta, bensì da pietra: quella stessa pietra che rotola e prende forma tra il plettro e le corde di Giovanni Succi, quella che batte tra le bacchette e le pelli di Bruno Dorella, e che in questo disco – nel suo rotolare tra riff corposi e suoni taglienti – si fonde a poco a poco con i più duri tra i metalli. Da questo incontro/scontro nasce un nuovo mix letale che è Necroide: ben undici brani che trascinano all’esasperazione un concept profondo e più o meno diretto che arriva fin da subito, ma allo stesso tempo, per assimilarlo a pieno, richiede che il disco sia ascoltato per intero.
Black Metal il mio folk apre il disco con ironia (forse parodia?), in un certo senso come se i due bachi ci volessero presentare il loro percorso e ci fornissero dietro le righe la chiave stessa per comprenderlo. Seguono due brani che entrano di forza nel concept – ormai chiaro all’ascoltatore, ma che non svelerò qui onde evitare la sorpresa – Slayer & The Family Stone e Fascite Necroide: si alternano delle sonorità cupe e martellanti dove dentro aleggia lo spettro, oltre che dei chiaramente citati Slayer, della violenza dei Sepultura, fino a toccare il periodo più scuro dei Black Sabbath e le sfumature metal dei Motorhead. Tarli mai smentisce decisamente coloro che sostengono che i bachi abbiano totalmente abbandonato il rock-blues: innegabile che il riff di chitarra, come il ritmo stesso, alluda ai riffettoni con la barba degli ZZ Top. Voodooviking alza di nuovo il tiro e cade su cavalcate alla Iron Maiden, mai troppo banali, ma direi paradossalmente ricercate. Con Apocalinsect, proprio a metà del disco, abbiamo una seconda sferzata ironica, con un brano che potrebbe addirittura risultare sgradevole all’ascolto. Ma ciò che un ascoltatore serio (anzi, seriale) avrà già intuito, è la complessa e ricercata architettura di questo album: ogni cosa sta al suo posto, e soprattutto nessuna scelta è stata fatta a caso. In Necroide tutto ha un perché, anche questo brano centrale che, infatti, lancia l’ultima discesa negli inferi a partire da Virus del male, incappando nell’infiammata tripletta Feccia rozza, Cofani funebri e Sepolta viva, per finire in una Danza macabra.
Una volta ripreso fiato, non si può fare a meno di realizzare che il livello di arrangiamento musicale, come quello dei testi – dote ormai consolidata di Giovanni Succi –, ancora una volta non si smentisce di una virgola, nonostante il sottosuolo umido, fangoso e oscuro che fa da tappeto all’intero disco.
In definitiva, i Bachi da Pietra riescono a stupire ancora una volta, nel bene e nel male, nel plauso e nella più aspra critica. Più che un miglioramento, un’evoluzione, una metamorfosi, appare evidente il nuovo e coraggioso passo nella crescita di una carriera che è destinata a distinguersi e trovare gloria et onore nel melmoso panorama indipendente italiano.

Mario Caruso








Articolo ad opera di Giusy Elle
electricduoproject@gmail.com





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