Con gli Sdang!
rinnoviamo la collaborazione Edp.
Abbiamo infatti avuto il piacere di presentare questo duo bresciano
all'uscita del loro primo lavoro discografico (qui),
l'Ep Il giorno delle altalene. Musicisti professionisti,
Nicola Panteghini e Alessandro Pedretti non stanno certo con le mani
in mano per cui si presentano già col loro primo full lenght, un 6
pezzi di musica strumentale, intitolato La malinconia delle fate.
E' di questo album che vogliamo oggi trattare.
Come per l'ep precedente le
coordinate sonore sono molto simili e riconoscibili, identificative
del duo stesso (Postrock, Mathrock, Metal, Shoegaze, repentini cambi
Prog) ma il disco si dimostra più maturo, completo, pensato e ricco
di spunti. Con l'ep gli Sdang! hanno voluto mettersi alla prova,
vedere se il duo colpisce nel segno, tra il pubblico e la critica
così, una volta passato l'esame, si sono impegnati in maniera più
seria, appoggiandosi ora anche a una serie di etichette indipendenti
che supportano l'uscita discografica. Per capire appieno la filosofia
dei due, il mondo fatato da cui prendono spunto, e tutti i risvolti
del nuovo album, rimando all'articolo di approfondimento corredato di intervista ai due. Qui andiamo di
aspetti più tecnici per lasciare infine il posto all'approfondita
recensione del nostro collaboratore Luca Sabata, già virtuoso
batterista del duo sperimentale napoletano Karawane.
La malinconia delle fate è
stato registrato nell'ottobre 2015 nello studio bresciano Bluefemme
durante un'intensa sessione di tre giorni e rifinito con poche
sovraincisioni in un secondo momento. L'approccio degli Sdang! alla
registrazione in studio è però molto sciolta e semplice, fatta di
presa diretta dove tutti i brani vengono suonati assieme dall'inizio
alla fine: lo scopo è quello di riprodurre su disco, in maniera
fedele, ciò che l'ascoltatore potrebbe vivere durante un concerto.
Tale filosofia è ribadita dai due video tratti dall'album:
Astronomica, il video ufficiale ad anticipazione dell'Lp, è
registrato in sala prove mentre Il primo giorno di scuola è
nientemeno che la registrazione del live durante il release party del
26 aprile al Carmen Town di Brescia (Regia di Stefano Resciniti, audio a cura di Ronnie
Amighetti e Alessandro Petrol Pedretti).
L'album è stato prodotto tra
ottobre 2015 e febbraio 2016 con la collaborazione di La Fornace
Dischi, Dreamingorilla Rec, Taxi Driver Rec, Toten Schwan Rec e Acid
Cosmonaut Records. Recording, mixing e mastering sono ad opera di
Marco Franzoni, titolare del Bluefemme Studio di Brescia, e
dell'assistente Ronni Amighetti. L'artwork della copertina è ad
opera di La Fornace Dischi mentre il duo è seguito dall'Ufficio
Stampa Astarte, nella figura di Nina Selvini, mentre Marialuisa
Rovetta è il referente per l'agenzia di booking LALA. Buona lettura
e buon ascolto di questo ottimo album post-prog che non vi
stancherete mai di ascoltare...
Video:
"Il primo giorno di scuola"
(Offcial Video live)
Live promo 2016/2017:
Contatti:
Ufficio Stampa: nina@astarteagency.it
Streaming:
La malinconia delle
fate 2016
Acid Cosmonaut, Dreaming
Gorilla Records, La Fornace Dischi,
Taxi Driver Rec., Toten
Schwan Rec.
(PostRock, Prog)
1.Il primo giorno di
scuola
2.Martina
3.Astronomica
4.Scrivimi una lettera tra
nove anni
5.Cento metri all'arrivo
6.La malinconia delle fate
RECENSIONE
SDANG! "La malinconia delle
fate"
Lp 2016 Acid
Cosmonaut, Dreaming Gorilla, La Fornace Dischi, Taxi Driver, Toten
Schwan Rec.
Di solito mi piace
fare qualche commento sul packaging del disco, ma essendo in questo
caso piuttosto semplice, proseguo senza indugi alla mia personale
analisi.
Il primo giorno di
scuola è una perfetta sintesi dell’esperienza degli Sdang!:
un susseguirsi di strutture efficaci, impalcate in una forma
variegata e solida. È il tipico cavallo di battaglia, che vuole
darti la botta iniziale, farti ripetere l'ascolto e muovere la testa
a ritmo. Notevole è la configurazione del suono della chitarra,
capace di agire su due piani distinti: mentre il lead, bilanciato da
un octaver, si posiziona predominante al centro, numerose code si
posizionano ai lati. Il risultato è un suono davvero pieno, ben
diverso dai soliti muri di suono.
Segue Martina.
Batteria a sinistra, chitarra a destra, un dialogo tra due
amanti. Uno è esplosivo, l’altro è pacato; il dialogo va avanti
tra battibecchi, sfoghi, lunghi respiri. I toni tornano a soffermarsi
sullo stesso concetto, ribadito ogni volta con una sfumatura diversa.
Molto belli i passaggi fluidi da quartine a sestine, in cui l’hi-hat
rimane costante. La batteria, quando apre sul ride, mi ricorda un po’
il feeling andante di Jupiter Island. Il lavoro di chitarra è semplicemente
meraviglioso: Nicola Panteghini è bravissimo a mescolare impalcature
ritmiche minimali e a far progredire il pezzo con piccoli
cambiamenti, aggiunti poco alla volta. Laddove Il primo giorno di
scuola vuole imporsi, Martina rimane in testa più a
lungo, grazie alle sue strutture ricorrenti e l’atmosfera dolce,
più che malinconica.
Se fin qui si è spaziato
tra vari generi, Astronomica assume un’identità più
lineare: nonostante gli effetti synth, che in certi punti sembrano
strizzare l’occhio al progressive anni ‘70, il pezzo procede a
ritmo sostenuto, per poi finire col botto. Un treno hard rock,
pensato per travolgerti e trascinarti.
Dopo l’ascolto dei
primi pezzi, in Scrivimi una lettera tra nove anni si sentono
alcune ridondanze: le aperture di chitarra in accordi alla Steven
Wilson; lo sticking di batteria, in cui spesso gli accenti vengono
raddoppiati sull’hi-hat, o la ritmica viene eseguita sul cerchio di
un tom; gli stacchi improvvisi che sospendono l’andamento; il
terminare ribadendo una sezione principale. In particolare, penso che
la sezione che comincia al secondo minuto è già perfettamente
rappresentata, seppur con meno spazio, in Martina. La parte
finale comprende una sezione di batteria a tratti twist, che si
alterna bene con la ripresa del riff in 5/8 iniziale, qui concluso
scandendo con forza gli accenti.
Cento metri all’arrivo
riaccenna al discorso presentato nell’ultima parte del pezzo
precedente: dopo alcuni riff introduttivi, che sembrano una versione
meno caotica di quelli degli Arduo,
si passa ad un’altra sezione ballabile, stavolta in stile
rock’n’roll. L’impellenza e la tensione svaniscono presto,
perché in fondo i metri all’arrivo sono solo cento, dunque si
approda in un’atmosfera più distesa. Questa però ricorda un po’
i toni di Martina, per cui torna la sensazione di ridondanza.
Dei cupi stridori fanno
da collegamento all’ultimo pezzo, La malinconia delle fate,
creando un’interessante atmosfera nelle prime fasi della title
track. Tuttavia, si prosegue con un modus operandi ormai familiare:
alternanza di fasi, una pacata e l’altra esplosiva; passaggi alle
sestine, in cui la batteria diserta alle quartine dopo qualche
battuta; alcune varianti ritmiche in 5/8; costruzioni additive come
in Martina; il treno hard rock; gli effetti synth; lo sticking
raddoppiato sul cerchio del tom. Si inserisce anche una chitarra
acustica a duplicare quella elettrica. Il finale arriva in modo
prevedibile, e anch’esso si chiude tipicamente, in questo caso in
modo simile ad Astronomica. Insomma, un riassunto finale che
ripropone quanto è stato ascoltato.
Presi individualmente, i
pezzi funzionano uno meglio dell’altro: le idee sono efficaci, e la
qualità del prodotto è elevata. Il problema è ascoltarli insieme
come disco, in quanto la seconda metà del lavoro aggiunge davvero
pochissimo al risultato finale. Si nota la grande capacità dei
musicisti, e si percepisce la decisione matura di evitare tecnicismi
fini a se stessi in favore di mezzi più funzionali alla musica. Nel
semplificare, però, bisogna fare attenzione a non ridurre troppo al
minimo comune denominatore, altrimenti si rischia di finire
nell’autoreferenzialità, dunque nella ridondanza. Sebbene questo
possa non essere considerato un difetto, lo è effettivamente il
timore di provare ad uscire dalla formula ben congeniata, troppo
spesso reiterata in un lavoro che somiglia ad un insieme di
variazioni su tema, omogenee persino nella lunghezza. Per l’appunto,
una buona collezione di singoli, anziché un disco vero e proprio.
Pezzo preferito: Martina.
Luca Sabata
8 / 10
Articolo ad opera
di Giusy Elle
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