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venerdì 4 novembre 2016

122. RECENSIONE34: La malinconia della fate by Sdang!





   Con gli Sdang! rinnoviamo la collaborazione Edp. Abbiamo infatti avuto il piacere di presentare questo duo bresciano all'uscita del loro primo lavoro discografico (qui), l'Ep Il giorno delle altalene. Musicisti professionisti, Nicola Panteghini e Alessandro Pedretti non stanno certo con le mani in mano per cui si presentano già col loro primo full lenght, un 6 pezzi di musica strumentale, intitolato La malinconia delle fate. E' di questo album che vogliamo oggi trattare.
   Come per l'ep precedente le coordinate sonore sono molto simili e riconoscibili, identificative del duo stesso (Postrock, Mathrock, Metal, Shoegaze, repentini cambi Prog) ma il disco si dimostra più maturo, completo, pensato e ricco di spunti. Con l'ep gli Sdang! hanno voluto mettersi alla prova, vedere se il duo colpisce nel segno, tra il pubblico e la critica così, una volta passato l'esame, si sono impegnati in maniera più seria, appoggiandosi ora anche a una serie di etichette indipendenti che supportano l'uscita discografica. Per capire appieno la filosofia dei due, il mondo fatato da cui prendono spunto, e tutti i risvolti del nuovo album, rimando all'articolo di approfondimento corredato di intervista ai due. Qui andiamo di aspetti più tecnici per lasciare infine il posto all'approfondita recensione del nostro collaboratore Luca Sabata, già virtuoso batterista del duo sperimentale napoletano Karawane.
   La malinconia delle fate è stato registrato nell'ottobre 2015 nello studio bresciano Bluefemme durante un'intensa sessione di tre giorni e rifinito con poche sovraincisioni in un secondo momento. L'approccio degli Sdang! alla registrazione in studio è però molto sciolta e semplice, fatta di presa diretta dove tutti i brani vengono suonati assieme dall'inizio alla fine: lo scopo è quello di riprodurre su disco, in maniera fedele, ciò che l'ascoltatore potrebbe vivere durante un concerto. Tale filosofia è ribadita dai due video tratti dall'album: Astronomica, il video ufficiale ad anticipazione dell'Lp, è registrato in sala prove mentre Il primo giorno di scuola è nientemeno che la registrazione del live durante il release party del 26 aprile al Carmen Town di Brescia (Regia di Stefano Resciniti, audio a cura di Ronnie Amighetti e Alessandro Petrol Pedretti).
   L'album è stato prodotto tra ottobre 2015 e febbraio 2016 con la collaborazione di La Fornace Dischi, Dreamingorilla Rec, Taxi Driver Rec, Toten Schwan Rec e Acid Cosmonaut Records. Recording, mixing e mastering sono ad opera di Marco Franzoni, titolare del Bluefemme Studio di Brescia, e dell'assistente Ronni Amighetti. L'artwork della copertina è ad opera di La Fornace Dischi mentre il duo è seguito dall'Ufficio Stampa Astarte, nella figura di Nina Selvini, mentre Marialuisa Rovetta è il referente per l'agenzia di booking LALA. Buona lettura e buon ascolto di questo ottimo album post-prog che non vi stancherete mai di ascoltare...

Video:
"Il primo giorno di scuola" (Offcial Video live)
Live promo 2016/2017:


Contatti:
Booking:  info@lalamusic.it
Ufficio Stampa: nina@astarteagency.it


Streaming:


La malinconia delle fate 2016
Acid Cosmonaut, Dreaming Gorilla Records, La Fornace Dischi,
Taxi Driver Rec., Toten Schwan Rec.
(PostRock, Prog)

1.Il primo giorno di scuola
2.Martina
3.Astronomica
4.Scrivimi una lettera tra nove anni
5.Cento metri all'arrivo
6.La malinconia delle fate



RECENSIONE
SDANG! "La malinconia delle fate"
Lp 2016 Acid Cosmonaut, Dreaming Gorilla, La Fornace Dischi, Taxi Driver, Toten Schwan Rec.


Di solito mi piace fare qualche commento sul packaging del disco, ma essendo in questo caso piuttosto semplice, proseguo senza indugi alla mia personale analisi.


Il primo giorno di scuola è una perfetta sintesi dell’esperienza degli Sdang!: un susseguirsi di strutture efficaci, impalcate in una forma variegata e solida. È il tipico cavallo di battaglia, che vuole darti la botta iniziale, farti ripetere l'ascolto e muovere la testa a ritmo. Notevole è la configurazione del suono della chitarra, capace di agire su due piani distinti: mentre il lead, bilanciato da un octaver, si posiziona predominante al centro, numerose code si posizionano ai lati. Il risultato è un suono davvero pieno, ben diverso dai soliti muri di suono.

Segue Martina. Batteria a sinistra, chitarra a destra, un dialogo tra due amanti. Uno è esplosivo, l’altro è pacato; il dialogo va avanti tra battibecchi, sfoghi, lunghi respiri. I toni tornano a soffermarsi sullo stesso concetto, ribadito ogni volta con una sfumatura diversa. Molto belli i passaggi fluidi da quartine a sestine, in cui l’hi-hat rimane costante. La batteria, quando apre sul ride, mi ricorda un po’ il feeling andante di Jupiter Island. Il lavoro di chitarra è semplicemente meraviglioso: Nicola Panteghini è bravissimo a mescolare impalcature ritmiche minimali e a far progredire il pezzo con piccoli cambiamenti, aggiunti poco alla volta. Laddove Il primo giorno di scuola vuole imporsi, Martina rimane in testa più a lungo, grazie alle sue strutture ricorrenti e l’atmosfera dolce, più che malinconica.

Se fin qui si è spaziato tra vari generi, Astronomica assume un’identità più lineare: nonostante gli effetti synth, che in certi punti sembrano strizzare l’occhio al progressive anni ‘70, il pezzo procede a ritmo sostenuto, per poi finire col botto. Un treno hard rock, pensato per travolgerti e trascinarti.

Dopo l’ascolto dei primi pezzi, in Scrivimi una lettera tra nove anni si sentono alcune ridondanze: le aperture di chitarra in accordi alla Steven Wilson; lo sticking di batteria, in cui spesso gli accenti vengono raddoppiati sull’hi-hat, o la ritmica viene eseguita sul cerchio di un tom; gli stacchi improvvisi che sospendono l’andamento; il terminare ribadendo una sezione principale. In particolare, penso che la sezione che comincia al secondo minuto è già perfettamente rappresentata, seppur con meno spazio, in Martina. La parte finale comprende una sezione di batteria a tratti twist, che si alterna bene con la ripresa del riff in 5/8 iniziale, qui concluso scandendo con forza gli accenti.

Cento metri all’arrivo riaccenna al discorso presentato nell’ultima parte del pezzo precedente: dopo alcuni riff introduttivi, che sembrano una versione meno caotica di quelli degli Arduo, si passa ad un’altra sezione ballabile, stavolta in stile rock’n’roll. L’impellenza e la tensione svaniscono presto, perché in fondo i metri all’arrivo sono solo cento, dunque si approda in un’atmosfera più distesa. Questa però ricorda un po’ i toni di Martina, per cui torna la sensazione di ridondanza.

Dei cupi stridori fanno da collegamento all’ultimo pezzo, La malinconia delle fate, creando un’interessante atmosfera nelle prime fasi della title track. Tuttavia, si prosegue con un modus operandi ormai familiare: alternanza di fasi, una pacata e l’altra esplosiva; passaggi alle sestine, in cui la batteria diserta alle quartine dopo qualche battuta; alcune varianti ritmiche in 5/8; costruzioni additive come in Martina; il treno hard rock; gli effetti synth; lo sticking raddoppiato sul cerchio del tom. Si inserisce anche una chitarra acustica a duplicare quella elettrica. Il finale arriva in modo prevedibile, e anch’esso si chiude tipicamente, in questo caso in modo simile ad Astronomica. Insomma, un riassunto finale che ripropone quanto è stato ascoltato.

Presi individualmente, i pezzi funzionano uno meglio dell’altro: le idee sono efficaci, e la qualità del prodotto è elevata. Il problema è ascoltarli insieme come disco, in quanto la seconda metà del lavoro aggiunge davvero pochissimo al risultato finale. Si nota la grande capacità dei musicisti, e si percepisce la decisione matura di evitare tecnicismi fini a se stessi in favore di mezzi più funzionali alla musica. Nel semplificare, però, bisogna fare attenzione a non ridurre troppo al minimo comune denominatore, altrimenti si rischia di finire nell’autoreferenzialità, dunque nella ridondanza. Sebbene questo possa non essere considerato un difetto, lo è effettivamente il timore di provare ad uscire dalla formula ben congeniata, troppo spesso reiterata in un lavoro che somiglia ad un insieme di variazioni su tema, omogenee persino nella lunghezza. Per l’appunto, una buona collezione di singoli, anziché un disco vero e proprio.

Pezzo preferito: Martina.

Luca Sabata
8 / 10





Articolo ad opera di Giusy Elle



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