Dopo l'articolo di presentazione del duo Globetrotter (Benevento
2009) e l'intervista con i suoi fondatori (Giovanni Nazzaro e Danilo
'Damage' Peccerella) eccoci pronti a parlare di Fibonacci, il
loro secondo album in studio. Un 7 pezzi per 24 minuti d'ascolto
registrato in presa diretta presso The Jack Studio di Napoli ed
edito, mixato e masterizzato nel medesimo studio di Benevento.
Artwork ad opera di Romano "Malaciort" Monero del duo
basso-batteria trentino Atacama Death Experience.
Come l'omonimo album di debutto ci
ritroviamo nel genere math-rock/math-core, ma questo solo per
inquadrare in maniera generica lo sfondo dove i due sviluppano il
proprio paesaggio sonoro fatto di divagazioni sperimentali. Giovanni
nasce come chitarrista rock e metal ma nel corso del suo interessante
iter di studi si appassiona sempre più a tutto ciò che è
sperimentale e alternativo; anche Danilo, il suo compare alle pelli,
ha suonato in numerose band dai generi più svariati e questa
epserienza 'a ventaglio' gli permette di affiancare in maniera
sciolta e competente i frequenti cambi di genere e stile proposti dal
partner. In realtà il duo nasce proprio per questo, per conforntarsi
e creare qualcosa di nuovo a partire dal bagaglio culturale raccolto
nella carriera dei due musicisti.
Fibonacci è quindi un album
vario che ci propone spunti sonori derivanti dal metal e dal jazz,
dal prog come dalla psichedelia, ma vi troviamo anche il funk, la
noise, la fusion... non soltanto ogni brano risulta quindi diverso
dall'altro ma anche ogni singola traccia ci propone spunti di matrice
diversa, in repentini cambi di genere e stile. La tecnica di entrambi
è sopraffine e il risultato è un album che scorre via
piacevolmente, mitigato nella freddezza pura del genere math-rock.
Ma scendiamo nei particolari di
Fibonacci grazie all'analisi approfondita di Luca Sabata,
recensore partenopeo e batterista del duo sperimentale KARAWANE.
Video:
“Notes for a Nerd” https://www.youtube.com/watch?v=rbTKUguUjbY
“Pachiderma” https://www.youtube.com/watch?v=5PkD9FY-lnY
Ascolto integrale di
Fibonacci
Contatti:
FIBONACCI 2014,
Autoprodotto (MathRock, Jazzcore, Sperimentale)
1.Taurina
2.Untore
3.Pachiderma
4.P___skip
5.The March of left-handed
butterflies
6.Boaka
7.King Cococock
RECENSIONE
GLOBEROTTER
FIBONACCI
(Autoprodotto, 2015)
Genere:
math rock, sperimentale
Voto: 6,5/10
Essendo un album dall’etichetta math rock ma dall’essenza sperimentale, per entrare nel mood giusto voglio sperimentare anch’io e impostare la recensione come se fosse la trascrizione diretta del mio flusso di coscienza.
Voto: 6,5/10
Essendo un album dall’etichetta math rock ma dall’essenza sperimentale, per entrare nel mood giusto voglio sperimentare anch’io e impostare la recensione come se fosse la trascrizione diretta del mio flusso di coscienza.
Nero e tinte di blu. La
spirale di Fibonacci e il triangolo di Tartaglia. Design spartano che
sembra solo un pretesto per ricalcare il nome del cd e fargli da
contenitore. Come per dire: niente fronzoli, veniamo al sodo. Avvio
l’ascolto, l’intuizione era giusta; Taurina, il primo
pezzo, è fatto per galvanizzare, mette subito in mostra i muscoli.
Dopo una rapida introduzione, esplode con una chitarra aggressiva. Un
riff che a tratti mi ricorda persino il modo di fare degli Iron
Maiden. Cambio di sezione. Dal metal classico a quello neoclassico.
Un interessante intermezzo che comincia scarno, in palm muting, e poi
acquista corpo in distorsione. Ancora un cambio sezione. Dal metal
neoclassico a Larks’ Tongues in Aspic part two, un pezzo che
da solo ha influenzato generazioni di musicisti. Assolo da
shredder, poi corposi power chord inframezzati da un tremolo
picking che mi ricorda i Rage Against The Machine. E una fine, a
singhiozzi, in cui viene ripreso il primo riff. Il suono della
chitarra è molto elaborato, e si sente: durante tutto il pezzo
assume mille sfaccettature, ognuna pensata esclusivamente per la
sezione in cui si trova. Un dettaglio che apprezzo molto. Comincia il
secondo pezzo, Untore. Siamo sul jazzcore, qui le chiusure di
riff si fanno ripetitive, sembra un nastro che s’incanta per
qualche attimo. Secondo giro. La batteria mi appare troppo statica,
ci sarebbe stato meglio un pattern latino, con la clave anziché il
rullante. Improvvisamente comincia una nuova parte. Batteria in
quattro, hi-hat aperto al massimo, accordi storti. L’idea è
ottima, peccato però che sia molto simile al ritornello di Tuzz degli Arduo. È interessante notare che due gruppi math rock siano
giunti alla stessa idea indipendentemente; in matematica questo
succede spesso. Ad esempio, mi viene in mente il teorema delle contrazioni. Torniamo al pezzo. La sezione
centrale termina e si chiude riprendendo di nuovo il riff iniziale.
Ogni riga del triangolo di Tartaglia finisce così come comincia.
Terzo pezzo, Pachiderma. Molto bello l’incastro tra lo
slapping della chitarra e la batteria che prima lo accompagna e poi
va in sestine. Immagino un grosso elefante africano, che a tratti
marcia, a tratti barrisce infuriato. Segue una breve struttura che
richiama Untore. L’oscuro ambientale nella seconda strofa non mi
convince: ha un suono glaciale, del tutto estraneo all’atmosfera in
cui viene inserito. È come se l’elefante passasse improvvisamente
per una tundra. Buona la parte simil-samba, specie per le percussioni
in secondo piano. In finale una sezione molto aperta, fatta apposta
per spiazzare l’ascoltatore, e di nuovo la struttura alla Untore.
Quarto pezzo, P___Skip. O meglio, un intermezzo. Il Predictive
frame skipping è una efficiente modalità di codifica video, tramite
la quale i dati meno significativi vengono scartati per preservare
quelli più rilevanti. Delay, reverse, annunci radiofonici, tra cui
persino uno in russo. Sono i frammenti più importanti di esperienze
passate. I ragazzi devono aver suonato anche a migliaia di chilometri
lontani da casa. In effetti, Globetrotter significa proprio
giramondo. Quinto pezzo, The March Of Left-Handed
Butterflies. Come in Taurina, una breve introduzione anche qui,
per subito passare ad un bel riff corposo di chitarra. La distorsione
ha un suono fantastico. Ma a differenza della prima traccia, le
atmosfere si fanno poi delicate e vagamente dolci. Il math lascia
spazio al progressive. Ci sono molte sezioni in pieno stile
Canterbury, in particolare alcuni elementi mi ricordano la seconda
parte di Cocomelastico dei Picchio dal Pozzo. In sottofondo si sentono estratti di un
discorso; nell’ultimo riconosco una citazione del Dalai Lama. Nel finale, che prima di chiudere fa una finta, si
riprende il riff post-introduzione, così come avviene
nell’arrangiamento di Pachiderma. Sesto pezzo, Boaka.
L’atmosfera iniziale non si distacca molto dal pezzo precedente,
poi con qualche intermittenza il pezzo transita in un arpeggio di
chitarra seguito quasi all’unisono dalla batteria. Ma non c’è
abbastanza potenza, e il fatto che la batteria si limiti a seguire
non dà il giusto impatto. Nelle parti successive tornano le
influenze metal e c’è il secondo assolo da shredder, accompagnato
da un pattern fisso di doppio pedale che però risulta poco efficace.
Settimo ed ultimo pezzo, King Cococock. Essenzialmente un
brano in due fasi: la prima è uno slap/pop che ricorda Tony Levin;
la seconda ha arpeggi e accordi che ricordano invece Robert Fripp.
Insomma, ancora King Crimson, ma stavolta nella formazione anni ‘80.
Il pezzo si chiude con una fugace sezione drone noise, la cui
dissolvenza viene interrotta da un taglio troppo brusco di editing.
In sostanza, l’album
sale di qualità fino a raggiungere il picco con The March Of
Left-Handed Butteflies, di gran lunga il pezzo migliore. Di lì in
poi c’è un calo impressionante, che influenza significativamente
il mio giudizio finale. In particolare, l’ultimo pezzo sembra più
una sequenza di esercizi crimsoniani che altro: tecnicamente belli,
ma musicalmente sterili.
La preparazione tecnica
di Giovanni Nazzaro è notevole, ma in questo disco ha dato
dimostrazione di essere troppo legato alle sue influenze. La sua
sperimentazione deve transitare dal semplice testare le abilità
acquisite alla ricerca del proprio stile. Danilo Peccerella invece
l’ho trovato un po’ timido: ci sono molte occasioni nel disco in
cui avrebbe potuto osare di più, sia nelle dinamiche che nelle idee.
Trovo che l’idea di suonare all’unisono con lo strumento duale
funzioni poco. In futuro vorrei sentirlo accompagnare di meno la
chitarra, e creare soluzioni più interessanti, come nella prima
sezione di Pachiderma. Per quanto riguarda il progetto in generale,
credo che la direzione più originale sia quella post/progressive
individuata nella parte centrale del disco; perseguendola potrebbero
anche avvicinarsi alle sonorità ancora più sperimentali del
progetto solista di Giovanni ed esplorare territori più nuovi,
anziché battere le solite, tortuose strade del math.
Pezzo preferito: The
March Of Left-Handed Butteflies.
Luca Sabata
Articolo ad opera di Giusy Elle