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INTRO
All'EDP abbiamo sempre parlato di musica, ovviamente,
se non sempre di duo almeno di argomenti correlati: abbiamo
chiacchierato con Bruno Dorella nella
versione di produttore discografico, presentato Monelle Chiti, fotografa musicale oppure Jessica Dainese, nota scrittrice di musica con predilezione per le
formazioni rock al femminile. Ebbene, oggi cambiamo registro... sì,
perché parliamo di letteratura presentando un ...romanzo, "Il
Grande Buio" di Mario Caruso. E' chiaro che un punto di contatto
con la musica ci sia, pur non essendo questo il tema del libro... in
realtà Mario Caruso è già una nostra conoscenza nella figura di
chitarrista e compositore del potente power duo rock-blues aretino
SAMCRO il cui articolo raccomandiamo per
una riscoperta della 2-piece. Inoltre, il mondo musicale e quello
dell'editoria letteraria non sono poi così differenti, come vedremo
in fase d'intervista...
Mi piace sempre scandagliare le altre sfaccettature
artistiche dei nostri musicisti ed è così che abbiamo scoperto, con
i nostri articoli, che molti di loro hanno in realtà passioni
parallele alla musica: altri scrivono (Martino Vergnano de I Cospiratori come Nicola Panteghini degli Sdang!);
abbiamo una pittrice e tatuatrice nonché un fotografo professionista
nel duo Melampus ma anche una scultrice
nella figura di Emanuela del duo Bettie Blue
e un disegnatore come Berlikete, alias Marcello Bellina del
duo lodigiano Zolle, solo per citarne
qualcuno. All'uscita dell'opera prima letteraria di uno di loro,
quindi, e dopo essere stata coinvolta nella lettura della storia
narrata, ho deciso di dedicarmi volentieri alla presentazione di
questo romanzo che ritengo interessante sotto molti punti di vista.
Per questa volta perciò: buona lettura!
BIOGRAFIA
Mario Caruso, classe '87, nasce ad Arezzo da genitori
di origine meridionali. Fin da giovanissima età incentra i suoi
studi principalmente sulla letteratura e sulle lingue diplomandosi
come Perito Aziendale Corrispondente in Lingue Estere. Nel frattempo
studia musica: sotto la guida di un grande maestro Lizard si
specializza in Chitarra Elettrica e da autodidatta impara il basso
elettrico, percussioni, armonica a bocca, tromba e piano. Suona in
varie band prima di fondare nel 2012 il duo rock-blues Samcro con un
amico di vecchia data, il batterista Nicola Cigolini. Nel frattempo
lavora in varie aziende, da magazziniere ad impiegato, rendendosi
però conto in pochi anni che quello non è proprio il suo mondo,
abbandonando il tutto per dedicarsi completamente alla musica, al
cinema e alla letteratura. Attualmente, oltre a lavorare in proprio,
è infatti studente di Letteratura Arti e Spettacolo dell'Università
di Siena.
Dopo averlo presentato nel suo ruolo a noi più caro
di chitarrista (qui)
quindi, vogliamo oggi concentrarci sulla sua attività
parallela di scrittore di narrativa. L'occasione è il suo romanzo di
debutto, "Il Grande Buio", uscito per Aletti Editore nella
collana "Gli Emersi-narrativa" lo scorso ottobre. Non mi
sento un recensore musicale né tanto-meno di letteratura, ma dopo
aver letto la storia e apprezzato l'abilità di penna del nostro
Caruso mi è nato lo slancio di condivisione di un'opera che ritengo
di notevole interesse. Non sarà una recensione, quindi, quella che
segue, ma la trama della storia correlata dai miei appunti personali,
dalla descrizione delle sensazioni che la sua lettura mi ha
comunicato e gli spunti riflessivi che questa suggerisce.
TRAMA
E CONSIDERAZIONI
Il Grande Buio è un romanzo di narrativa svolto in
quel di Firenze a fine anni '90. Si narra la storia di Moreno, un
diciannovenne che arriva da fuori regione in cerca di lavoro e di
riscatto da una vita familiare cinica e soffocante. Qui imparerà a
conoscersi, a confrontarsi col mondo degli adulti e del lavoro,
scoprirà il primo grande Amore... La trama è tutta qui, scarna e
asciutta, le ambientazioni svolte per lo più nel freddo di un
edificio che è la fabbrica, intesa come luogo di alienazione,
uniformità, giochi di potere degni di un altro secolo... un Grande
Buio che inghiotte il tempo e le speranze, la vita stessa della gente
che ivi lavora; un luogo dove si perpetuano le meschinità umane
nelle sue molteplici forme ma, paradossalmente, anche il luogo che
genera ricchezza e sicurezza economica per la quale il gioco può
anche valer la candela. Questi gli spunti sociali di riflessione...
L'abilità dell'autore in realtà esula dalla trama,
la sua grande dote è quella di saper dipingere, come l'hobby
artistico del suo protagonista, tutto il mondo di pensieri ed
emozioni che coinvolgono i suoi personaggi. Grande manipolatore della
lingua italiana, Caruso si rivela da subito come uno scrittore
provetto, dalla lunga gavetta alle spalle, non rivelando di certo con
questo romanzo di debutto di essere alla sua opera prima. L'uso della
lingua è ricco, articolato, a volte perfino ampolloso, arrivando a
citare infine i grandi della letteratura del passato tratti dallo
Stilnovo e il Rinascimento: da Dante, Petrarca e Boccaccio fino a
Macchiavelli. Vedo quasi un incanto della lingua, per lo scrittore,
che ne fa un uso ampio, colto ma anche coinvolgente. A Caruso non
serve raccontare molti eventi: anche un solo, semplice ambiente viene
descritto in tutti i suoi particolari, mentre si costruisce così
l'immagine visiva della scena, molto realistica, e partendo da questa
s'avvia per pensieri e considerazioni seguendo il flusso ininterrotto
del dialogo interiore di Moreno. La storia viene narrata dall'esterno
da una voce che "osserva", ma spesso si introduce nella
mente stessa del protagonista rivelandoci i suoi pensieri più intimi
o immediati. La padronanza della lingua è impressionante,
sicuramente la dote di spicco del nostro giovane autore, rivelando
una professionalità degna di nota.
Ma ecco che dal grigiore di una vita di fabbrica nasce
una nota di colore grazie alla storia d'amore tra il protagonista e
una giovane e disinibita segretaria dei "piani alti",
rivelando un altro tema caro all'autore: la possibilità di
espressione libera dei propri sentimenti al di là delle convenzioni
sociali, dei severi confini imposti dalla cultura dominante; la
contrapposizione tra le costrizioni del sistema e le vere, intime
esigenze di libertà espressiva (tramite l'arte e l'amore) di ognuno
di noi. Questo il secondo spunto di riflessione sociale proposto
dall'autore... In realtà il romanzo intero è strutturato con
l'intenzione di spronare il lettore a ragionare, a prendere posizione
nei confronti dei temi suggeriti, e questo Caruso lo fa con
deliberata intenzione introducendo enigmi, suggerimenti velati,
spunti che inducono a una propria visione della storia narrata. E'
come se Caruso volesse accanto a sé ogni lettore per scrivere con
lui il suo romanzo a quattro mani... proprio in quest'ottica il
finale rimane aperto lasciando al lettore immaginare come sia
realmente andata a finire, e questa conclusione sarà diversa da
ognuno, a seconda del taglio personale dato nella chiave
d'interpretazione del romanzo stesso: sociale, psicologico,
metaforico...
In conclusione un romanzo solo apparentemente
semplice, in realtà assai complesso e strutturato, che ci rivela un
lungo periodo di gestazione oltre una grande abilità di scrittura,
frutto degli studi universitari del nostro Mario Caruso. E' proprio
con l'autore ora che andremo ad approfondire certi temi del libro
cercando di capire come nasca la storia, il vero messaggio che ci
vuole comunicare, dove realmente ci voglia condurre con le sue abili
parole... e già che ci siamo confrontiamo il tutto anche con la
musica, perché no?
CASA
EDITRICE
Aletti
Editore www.alettieditore.it
La Aletti
Editore, con sede a Villanova di Guidonia, provincia di Roma, è un
noto marchio editoriale che pubblica libri di narrativa, poesia,
saggistica e varia, sia in formato cartaceo che in eBook, usufruendo
delle nuove modalità di promozione del libro, dai social network ai
booktrailer.La
Aletti edita inoltre la rivista artistico-letteraria "Orizzonti",
il portale "Parole in fuga", dedicato alle notizie e agli
eventi del mondo della cultura (con la pubblicazione di poesie,
aforismi e citazioni note), nonché è fondatrice de "Il Paese
della Poesia", un evento culturale unico in Italia con sede a
Rocca Imperiale, piccolo
borgo
calabrese. Il progetto è legato al Premio di Poesia “Il
Federiciano”: da qui vengono scelti i testi inediti che verranno
poi stampati su stele di ceramica maiolicata affisse ai muri del
centro storico. Sempre su ceramica vengono impresse anche le poesie
di autori che hanno fatto la storia della Letteratura italiana e
mondiale e dall’edizione 2012 anche quelle di poeti classici, di
poeti che hanno vinto il Nobel e quelle provenienti dal cantautorato.
www.facebook.com/alettieditore
www.paroleinfuga.it
www.facebook.com/paroleinfuga.itwww.rivistaorizzonti.net
www.facebook.com/rivistaorizzonti
www.facebook.com/ilpaesedellapoesia
INTERVISTA
1.
Ciao Mario, lieta di averti nei nostri spazi EDP anche in veste di
romanziere. Raccontaci come nasce la tua passione per la letteratura
e in che misura la condividi con la musica.
Il
piacere è tutto mio. La mia passione per la letteratura è insita in
me da sempre, o almeno da quando ho avuto la prima cognizione di
averne. Parlo dei primi ricordi che ho d’infanzia: ricordo di come
mi dimenavo quando ancora non riuscivo a leggere quello che volevo
leggere. Ricordo anche di non vedere l’ora di fare le prime letture
in classe, le quali quando toccava me intonavo a gran voce, quasi in
maniera rocambolesca. Questa passione non è stata costante. Ho letto
molto fino all’adolescenza, poi ho scoperto la musica e ho dato
tutto per questa, studiando sì, ma le note e le armonizzazioni
lasciando in disparte la letteratura. Quando ho superato i vent’anni
mi è ritornata la passione e ho ripreso in mano prettamente romanzi
moderni. Durante tutti questi anni, dalla “seconda infanzia”
all’adolescenza, ho scritto tanto, ma solo in versi, niente prosa.
Ho quaderni e quaderni di sonetti, piccoli componimenti poetici che
resteranno lì chiusi per sempre e che non pubblicherò mai. La
poesia è forse una delle più alte rappresentazioni di narcisismo;
se vogliamo intenderlo come uno specchio, allora è tra i meandri
della propria stanza che deve stare. Ho sempre creduto nella prosa,
per raccontare, per riflettere, per trasmettere, e nella canzone che,
dal mio punto di vista, si differenzia abissalmente dalla poesia, ma
non posso approfondire qui la spiegazione poiché sarebbe troppo
lunga; dico solo che concordo con la visione che rilasciò il mio
amatissimo Dante nel trattato De vulgari eloquentia a
proposito della canzone. La vera svolta a cui devo tutto è stata
frequentando l’Università di Studi Umanistici di Arezzo, dove ho
potuto approfondire molto la tecnica narrativa, la storia della
lingua italiana e del suo mutamento, nella sua particolarità che sia
una lingua definibile nello spazio e nel tempo ma ben lungi
dall’essere definita. Sono innamorato della lingua italiana e della
sua storia, come sono innamorato del suo uso in tutta la nostra
immensa e inconfutabile tradizione letteraria. E’ da qui che ho
consolidato la mia passione. Ho svolto alcuni studi e lavori
filologici su Dante, sulle poesie della scuola poetica siciliana
(1220-1250), di moltissimi manoscritti fiorentini trecenteschi,
dell’umanesimo, e del rinascimento italiano, e ho analizzato testi
in latino e in traduzione di letteratura latina medievale. Sono,
inoltre, un accanito lettore di romanzi di narrativa, storici,
psicologici e fiabeschi dell’Ottocento fino agli anni 70-80 del
Novecento. Le mie letture principali, come le mie analisi letterarie
sulla tecnica e la forma si basano principalmente su: Carlo Emilio
Gadda, Luciano Bianciardi, Elsa Morante, Giuseppe Berto, Alberto
Bevilacqua, Virginia Woolf, Elio Vittorini, Vasco Pratolini, Italo
Calvino, Alberto Moravia, Giorgio Bassani, Cesare Pavese, Luigi
Pirandello, Beppe Fenoglio, Italo Svevo, Pietro Di Donato, e tanti,
troppi altri, fino alla letteratura straniera principalmente inglese,
francese, americana e russa. Detto
ciò, per rispondere interamente alla tua domanda, questa mia
passione va di pari passo con la musica. Metto nello stesso piano
letteratura e musica poiché mi affascina la loro storia, e come da
sempre siano argomenti di ricerca vastissima e senza tempo per
l’uomo. E’ per questo motivo che, come per la letteratura,
ascolto molteplici generi musicali partendo dall’opera seicentesca
fino al modernissimo rock. Ovviamente tra i vari generi preferisco il
blues in primis, il jazz, la fusion, il funky, il soul, il
cantautorato folk.
2.
"Il Grande Buio" è il tuo romanzo di debutto che in realtà
ci rivela uno scrittore assolutamente maturo. Quanto si deve alle
doti naturali e quanto sono importanti invece gli studi in tema?
Probabilmente
ciò è semplicemente frutto dell’amore che ho per la mia, anzi, la
nostra lingua. Gli studi sono importanti solo ed esclusivamente se
non sono imposti. Uno studio, per essere producente davvero, deve
avere due componenti fondamentali: l’insegnante e l’interesse. Un
buon insegnante è colui che non impone ma induce ad amare una tal
materia, che può essere anche la matematica. E per trasmettere
questo amore deve amare lui stesso sia la professione sia la materia.
Questa è la piaga che da sempre affligge la pubblica istruzione. Non
me ne vergogno a dire che a scuola sono sempre stato un grandissimo
somaro, e per giunta perfettamente consapevole. I dinosauri da
cattedra che altro non fanno che tentare di inculcare nozioni
dovrebbero eclissarsi per dare spazio a tantissimi giovani professori
che amano davvero la cultura, e che magari, citando il mio libro,
stanno a battere articoli dietro le casse dei supermercati. Qui
qualcosa deve cambiare, specialmente in Italia. Ma non mi dilungo
oltre, poiché questa polemica potrebbe essere drammaticamente
estesa.
3.
So che dai molta importanza alla gestazione della storia nella mente
prima di passarla su carta. Quanto tempo hai impiegato per
"partorire" "Il Grande Buio?"
Ognuno
di noi ha dentro non uno, ma un milione di romanzi. Tutti, nessuno
escluso. Il bambino che racconta una bugia sta scrivendo un romanzo,
il coniuge infedele che architetta un tradimento è un chiaro
romanziere… Insomma, tutti noi abbiamo un romanzo, e tutti giorni
interpretiamo dei romanzi. Sai, ci sono interi romanzi nel quale il
tempo della storia dura esattamente un giorno, o un paio di giorni.
Un esempio? Il meraviglioso romanzo di Giorgio Bassani del 1968
L’airone. Non
tutti poi decidono di metterlo per iscritto. C’è qualche
coraggioso che decide di tirarlo fuori e renderne un frammento di
memoria tangibile e indimenticabile, e altri che lo fanno sfumare
nelle membra. Ma tutti, alla stessa maniera, potremmo essere dei
romanzieri. Quanto tempo ho impiegato? E’ una domanda alla quale,
davvero, non so rispondere. E’ come quando mi si chiede da quando
suono la chitarra. Potrei dire che, per la stesura, la correzione, le
svariate riletture e aggiustamenti, ho impiegato dagli 8 ai 10 mesi,
di sicuro meno di un anno. Ricordo solo che la prima parola che
scrissi fu "Buongiorno, […]", e lo feci in una notte di
dicembre del 2014.
4.
Tu sei anche cantante, chitarrista e compositore dei brani dei
Samcro, power duo che conduci assieme al batterista Nicola Cigolini.
In che misura rapporteresti l'atto compositivo letterario a quello
musicale?
Sono
due cose totalmente diverse. Nella prosa letteraria ho possibilità
di sfogare senza freni la mia eccessiva peculiarità nell’uso di
aggettivi e nelle descrizioni estreme. Come hai visto dal libro
spesso arrivo a descrivere le crepe nel muro, come il sopracciglio o
la bocca di un personaggio secondario. Nella canzone, invece, c’è
un dosaggio e una scelta di poche parole ma che siano piene di
significato. Inoltre, nella canzone, ci sono da rispettare il ritmo e
la metrica, quindi le parole vanno anche adattate, mentre per la
prosa letteraria è tutto più libero.
5.
Tornando al Caruso scrittore: quanto c'è di autobiografico nel tuo
romanzo? Ripercorrendo la tua biografia vedo un giovane con
l'attrazione per l'arte e un lavoro aziendale più o meno a fine
'90... se non proprio la tua storia, ci vedo possibili storie
osservate...
Ti
cito una frase che, ogni volta che leggo un romanzo, la utilizzo come
massima. E’ un pensiero scritto nella prefazione del romanzo “Il
male oscuro” di Giuseppe Berto del 1964: “Da quando Flaubert ha detto
“Madame Bovary sono io” ognuno capisce che uno scrittore è,
sempre, autobiografico. Tuttavia si può dire che lo è un po' meno
quando scrive di sé, cioè quando si propone più scopertamente il
tema dell'autobiografia, perché allora il narcisismo da una parte e
il gusto di narrare dall'altra possono portarlo ad una addirittura
maliziosa deformazione dei fatti e di persone.” Con ciò devo
accludere una necessaria precisazione: per autobiografico non sempre
significa aver vissuto sulla propria pelle qualcosa, ma occorre anche
solo averla vista, o anche solo intuita. Ebbene, probabilmente nel
romanzo c'è qualcosa che ho visto non solo con gli occhi, ma con i
sensi, sentendomi inevitabilmente parte, io, di un contesto globale.
Sono sempre stato molto sensibile alla condizione dell'uomo e
soprattutto alla sua grande condanna del male di vivere, e
nell'oppressione e schiacciamento in un concetto di lavoro inteso
come totale alienazione e chiusura verso un qualsiasi fatto
culturale. Per capire meglio questo concetto c'è un tremendo
monologo proprio nel libro, nel capitolo 5. La chiara riprova che
questo sia un romanzo non autobiografico, in senso stretto, risiede
proprio nel fatto che ho architettato degli espedienti narrativi che
mi allontanano dai personaggi stessi. Io sono un marginalissimo
conoscitore d'arte e l'architettura proprio non la strozzo; Moreno è
invece un pittore, coi suoi occhi vede l'arte anche nei trucioli che
cadono roventi e taglienti dalle macchine. La storia è nell'anno
domini 1999 a Firenze; a quell'epoca ero un dodicenne che
studicchiavo qualcosa, e nulla avevo visto se non la piccola realtà
aretina, non di certo quella fiorentina. Ma, tornando alla massima di
Berto, preferisco che l'inserimento di elementi autobiografici resti
celato in poche parole che potrei riconoscere solo io in vecchiaia,
tra una risata e una lacrima.
6.Come
mai avendo tu una passione così forte per la musica non tratti di
quest'arte nella trama del tuo romanzo?
In realtà lo faccio, ma
nell’ultimo capitolo, e ciò che scrivo mi rendo conto non sia
facile da interpretare. Se si legge bene in quelle poche righe che
iniziano da “Adesso è arrivato il momento di mettersi ben
comodi […]” e “ancora che essa stessa sia Dio” oltre a
parlare della musica, il narratore si mette a tu per tu con il
lettore ricordando molto le prime righe di un famoso romanzo di
Calvino Se una notte d’inverno un viaggiatore; più che un
chiaro tributo a Calvino indico con alcune esatte parole sia il nome
di un album, sia il suo anno, sia il titolo di una canzone di un
gruppo famosissimo e che, in quel momento, vorrei che il lettore
ascoltasse in contemporanea alla letture delle ultime pagine del
romanzo. Se un lettore davvero abile fosse capace di andare oltre le
righe, e mettesse in cuffia quella canzone di cui parlo esattamente
nel momento nel quale, nel libro, dico di farlo, la sua lettura
finirebbe proprio al finire della canzone. E’ uno dei tanti enigmi
presenti nel libro, e che mi sono divertito a creare. (Ma non dirò
giammai il titolo della canzone né il gruppo, e sarò reticente
anche qualora venisse scoperto.)
Comunque, questa
domanda si ricollega a quella fatta poco prima: non ho scritto di
musica e non ho trattato la figura del musicista proprio perché mi
sono imposto di fare lo scrittore e non l’interprete di me stesso.
Scrivendo di un musicista sarei potuto scivolare nel narcisismo
letterario svuotando, in parte, il libro del suo significato. Credo
che per parlare di musica potrei, non ora, ma tra un bel po’ di
anni quando ne avrò le facoltà, magari scrivere qualche articolo di
saggistica, di critica sulla musica, ma mai e poi mai un romanzo: non
sarei credibile.
7.
A proposito, se dal Grande Buio si dovesse realizzare un film, quale
sarebbe secondo te la sua colonna sonora ideale?
Ho
scritto il romanzo ascoltando incessantemente il grandissimo
compositore Franz Schubert. Lui, come pochi, riesce a far vibrare le
mie corde più malinconiche. Probabilmente sceglierei lui.
8.
Prendendo spunto dal finale, che hai lasciato deliberatamente aperto
alla libera interpretazione, ci dici come hai studiato il tuo
rapporto col lettore? Sebbene io ti veda incantato dal potere della
lingua, cosa assolutamente intima ed interiore, è evidente che hai
scritto pensando al coinvolgimento di chi legge, hai cercato di
condurlo, di spronarlo a pensare, meditare, analizzare e tirare
conclusioni personali...
In
questo libro due, e solo due, sono i personaggi principali: il
narratore e il lettore. Entrambi hanno ruoli ben precisi, il
narratore nella prima parte per far entrare il lettore nel romanzo,
ma da metà libro in poi è il lettore che comanda, è lui che inizia
a interpretare e anche a giudicare. Ebbene, è proprio il finale che
definisce il lettore. Ormai il narratore ciò che doveva dire l’ha
detto, il padrone alla fine è il lettore. E io? Che ruolo ho io?
Beh, io sono lo scrittore, e lo scrittore non è mai il narratore.
Direste che Dante è il narratore della Commedia? Io direi di no.
Dante ha creato un altro Dante, diremmo un altro io, un io fittizio
che racconta del suo viaggio tra inferno, purgatorio e paradiso. (Mi
scuso per la divagazione). Tornando al finale, sto vedendo dalle
varie mail che mi arrivano e dalle varie persone che mi chiamano la
grandissima varietà di coscienze umane, come della singolare e
individuale visione del lavoro. E’ proprio qui che volevo arrivare.
Più o meno la metà dei lettori pensa che in questo libro ci sia un
suicidio, altri nemmeno da lontano. Curiosa la mente umana, nevvero?
9.
Vorrei ora parlare dei temi affrontati nel romanzo: descrivi il
lavoro non come qualcosa che nobilita l'uomo ma che piuttosto lo
imbruttisce, lo svilisce nella sua individualità, lo sfrutta e lo
uniforma. Intendi questo in senso generale oppure soltanto il lavoro
di fabbrica o comunque dove si perpetua un certo modello militarista,
di regole ed obbedienze, di sottomissione e sfruttamento? Qual è il
lavoro che consideri ideale per l'uomo?
E’
difficile che esprima così a freddo il mio onesto parere in merito,
se non romanzandolo. Appunto, per rispondere a questa domanda, c’ho
scritto un libro. Prima di tutto per rispondere a me stesso, e poi
per far capire la mia opinione agli altri. Io continuerò a credere,
ubriacandomi di utopia, che il vero lavoro che dovrebbe esistere
debba essere quello culturale, la stessa utopia descritta dal mio
carissimo Luciano Biancardi in quella che è definita la “trilogia
del dolore”: Il lavoro culturale
(1957), L’integrazione (1960) e La vita agra (1962).
A tal proposito, il mio pensiero si avvicina moltissimo anche al
pensiero dell’attore Carmelo Bene che rilasciò in un’intervista,
cito: «non si può lavorare in un posto di lavoro solo per morire,
oppure per mangiucchiare appena, una volta, la sera.» Dalla fonte: https://www.youtube.com/watch?v=I3kNUSisvwU.
10.
Il romanzo è ambientato a fine '90 dello scorso millennio eppure i
personaggi sembrano usciti dall'era industriale dell'800! I ruoli
sembrano quelli, molto caricaturali... E' evidente la critica al
sistema. Eppure si legge anche una certa nostalgia per certi canoni:
la paga a fine mese era dignitosa, dava senso al tribolare del Grande
Buio, in che rapporto metti l'obbligo del lavoro e la sua resa? Solo
di necessità? O anche di giustizia? Come vedi cambiato in peggio o
in meglio quel modello di lavoro rispetto alla situazione odierna?
Il
fatto che abbia ambientato il romanzo a fine degli anni 90 non è
assolutamente casuale, anzi. Credo proprio che quegli anni, con
l’arrivo e l’affermarsi progressivamente della tecnologia e di
conseguenza anche la fioritura di aziende di quel settore, siano
stati il trampolino di lancio in quella che è la moderna caducità.
Il lavoro genera e alimenta la dipendenza consumistica. Risponderei
meglio a questa domanda con un ulteriore monologo all’inizio del
capitolo 6. Nulla è cambiato se non il contesto, ma i parametri di
allora come quelli di ora sono gli stessi. L’operaio è
tendenzialmente visto, soprattutto nelle grandi aziende, come un
numero, nient’altro che una formichina laboriosa e lamentosa. Tutti
sono utili, nessuno è indispensabile: non è questo forse il motto
di tutti i grandi imprenditori?
11.
Ma tu, quale messaggio vuoi comunicare realmente ai tuoi lettori?
L'Arte e l'Amore sono le uniche armi di riscatto in nostro possesso?
E’ la cultura l’unica nostra
salvezza, l’unica nostra forza. Ai miei lettori lo voglio spiegare
con una metafora direttamente del mio libro. «Ma
posso dire di aver tenuto sempre una narice fuori, nel grande bianco,
sebbene per tanti, troppi anni della mia vita, tutto il resto del mio
corpo sia stato immerso, contro ogni principio d’Archimede, in una
gigantesca ampolla colma di china. Avevo sbagliato tutto. Avevo fatto
un pasticciaccio brutto, magari l’avessi fatto come quello de’
via Merulana. Nel grande buio non bisogna mai entrare a piedi pari.
Bisogna saggiarlo con una penna d’oca, o un ramoscello d’ulivo, e
intingerli dentro quel tanto quanto basta per scrivere una storia sul
grande bianco della vita.»
12.
Vorrei infine parlare con te di editoria. Mi sembra si possano
intuire dei paralleli tra il mondo della musica e quello della
letteratura. Vedo un sacco di giovani abili scrittori alle prese con
le proprie opere e il tentativo di farle conoscere, una specie di
underground della letteratura, come nella musica per le giovani band.
Entrambi i mondi pullulano di promesse, ma come si fa ad emergere?
L'editoria letteraria quanto crede nei giovani talenti? Quanto può
permettersi di esporsi? Fondamentalmente di investire... in un mondo
difficile fatto di troppe proposte e condivisioni in rete, di
vetustaggine del formato fisico, in entrambi i casi...
Argomento
dolente ma riassumibile in poche parole: anche la letteratura è un
porco business. Oggi come oggi ci sono migliaia di scrittori
clamorosi che pubblicano spesso autoproducendosi, o con piccoli
editori, e non saranno mai prodotti da alcuno poiché “non adatti
al catalogo”. Ci sono davvero pochi editori che producono veri
lavori letterari. Un lavoro letterario è una proprietà
intellettuale divulgata e prodotta per fini socio-culturali. Vogliamo
parlare di “libri” o, come direbbe il Manzoni, quei “composti
indigesti” partoriti con disumane doglie da certi saltimbanchi
famosi? Curioso vedere faraoniche distribuzioni di autentici scempi
che siano in vetta alle classifiche, e capolavori veri nemmeno
citati. Forse, oggi come oggi, si salva qualche Premio Letterario, ma
mi contraddico subito: forse manco quello. Per quel che mi riguarda,
i veri capolavori sono nascosti nei fondi degli scaffali, a un euro e
cinquanta, con la polvere sopra.
13.
Come sei arrivato ad incontrare e scegliere la Aletti per il tuo
percorso editoriale?
Ho
mandato il manoscritto a questo rinomato editore come tentativo del
tutto casuale, un’ultima scelta consapevole che il mio primo
lavoro, in quanto primo, non sarebbe mai potuto essere prodotto da
Aletti nemmeno da lontano. Nel frattempo altri editori erano
interessati al mio lavoro ma non abbiamo raggiunto le condizioni
giuste. Altri ho avuto il sospetto che non avessero nemmeno letto il
libro se non qualche parola per giudicarlo “troppo pretenzioso”.
Dopo un mese, la sorpresa: mi è arrivato a casa una proposta
contrattuale che non ho potuto rifiutare per quanto fosse onesta,
allettante, producente. Sono molto felice di lavorare con Aletti
Editore: gente seria, cartacei di grande qualità di stampa,
eccellente distribuzione e più che adeguata promo che si impegnano a
fare quotidianamente.
14.
Quali i passi successivi di Caruso scrittore?
Mi
sto dedicando a una tesi letteraria molto impegnativa. C’è un
altro romanzo nella mia testa, e in parte in qualche decina di
pagine. Ma ancora è presto per un secondo romanzo, prevedo che ne
possiamo riparlare a fine 2016. Per ora non dico altro, come ho fatto
per il mio primo romanzo, fino a che non è sicuro che esca.
15.
Grazie Mario per le tue osservazioni colte ed interessanti, per la
tua analisi del mondo letterario e musicale a confronto, per il primo
ma già grande romanzo che ci hai permesso di leggere ed analizzare.
Ti auguro un buon percorso come scrittore (viste le premesse potrebbe
procedere senza troppe difficoltà!) mentre ti aspetto su questi
spazi con qualcosa di più in tema: il prossimo lavoro discografico
dei Samcro. A proposito, a che punto siete? A quando la
pubblicazione? Ci puoi anticipare qualcosa? Il titolo, il formato, il
contenuto...
Con
grande orgoglio sono felice di dire che l’uscita del nuovo disco
dei Samcro è davvero imminente. Ci abbiamo lavorato per quasi un
anno, abbiamo passato molte ore a fare provini su provini, ma siamo
felici che il lavoro si sia proprio in questi giorni concluso. Lo
presenteremo in una release date il 22 dicembre al Wallace Pub di
Prato (PO), una sorta di data zero, per poi presentarlo ufficialmente
a gennaio nella nostra città di Arezzo e nel tour che stiamo finendo
di delineare che prevede non poche date in Italia. Fino al giorno nel
quale uscirà ufficialmente abbiamo deciso di non far sapere il
titolo; fino al giorno nel quale qualcuno lo sentirà non parleremo
del suo contenuto. Possiamo solo anticipare che le sonorità saranno
mutate e ingrossate esponenzialmente rispetto al primo disco, come lo
saranno i testi. Mentre in “Terrestre” i testi erano decisamente
secondari, qui invece ricoprono proprio il ruolo principale, per cui
possiamo parlare di un vero e proprio concept. L’argomento è
delicato, ma non è trattato facendone della semplice apologia. Ci
siamo riscoperti sensibili e sofferenti (e parlo in prima persona
plurale poiché lo faccio anche a nome del mio fedele socio Nicola
Cigolini) rispetto ad una determinata condizione umana di un grande
problema insito in molti popoli del mondo da secoli, un problema solo
umano. In questo problema, ci siam presi la briga di delineare alcuni
“colpevoli”. Ci incuriosisci più
che altro... allora restiamo in attesa del suo release! Lunga vita
anche ai Samcro. Lunga vita all'EDP...
Per
un punto di vista più letterario sul libro, consiglio la lettura di
quest'intervista, decisamente più "tecnica" della mia...
;)
Articolo
e intervista ad opera di Giusy Elle