Dopo
molto che questo servizio era andato nel dimenticatoio, eccoci a
riproporre i live report dei duo chitarra-batteria grazie al
contributo del nostro nuovo collaboratore Cesare Businaro.
Il
duo in esame, i NADSAT; la serata live: all'Arci Area di Carugate
(MI).
Cesare,
da buon chitarrista, si è preso la briga di studiare la
strumentazione di Michele Malaguti, il chitarrista dei Nadsat, e di
presentarcela in tutti i suoi particolari tecnici, relazione
utilissima per comprendere al meglio la resa stratosferica su palco
di certi duo... A voi i trucchi del mestiere!
NADSAT
Live @ Area, Carugate (MI), 17.3.2018
(Guitar Rig + Live Report)
By Cesare Businaro
Ero
molto curioso di vedere i Nadsat dal vivo. Per fortuna, la data di
S.Patrizio all’Area di Carugate è stata annunciata giusto qualche
settimana dopo aver scoperto il loro “Crudo” su Edp, un album che
mi è piaciuto fin dal primo ascolto, non solo per la mia
famigliarità con certo Noise, da fan degli Helmet, ma anche per la
sua capacità di tenere alta e persino in sospeso la mia attenzione,
di traccia in traccia. Mancava quindi la prova del 9, ovvero il live,
per verificare quanto il duo sapesse riproporre, di ciò che ha
registrato in studio.
Ho
raggiunto l’Area con sufficiente anticipo da potermi presentare a
Michele Malaguti e Alberto Balboni, rispettivamente chitarrista e
batterista dei Nadsat e farci una piacevole chiacchierata e visto che
Edp ha già trattato di tutto il resto e che, da chitarrista, ero
molto interessato all’argomento, ho parlato in particolare con
Michele del suo Guitar Rig, che mi ha gentilmente mostrato,
accompagnandomi nel backstage. Scopro così che il segnale della sua
chitarra viene suddiviso a monte, sfruttando le due uscite di un
pedale Octave, collegato in pedaliera subito dopo un accordatore: da
una prima uscita, il segnale, ribassato di un’ottava, si dirige
quindi verso un amplificatore da basso, passando per un paio di
distorsori. L’altra uscita del pedale Octave, immette invece il
segnale puro, ossia non effettato, in un pedale analogo, che Michele
utilizza per sovrapporci l’ottava più alta. Segue una serie di
ulteriori distorsori, prima che il segnale, passando per un pedale
Freeze e un riverbero, s’immetta in un amplificatore da chitarra. A
valle di entrambe le catene, campeggiano infine dei riduttori di
rumore, cosa che può far storcere il naso, pensando ai Nadsat come
ad una band di genere Noise (anche sul listino del loro
merchandising, noterò poco dopo lo slogan “Noise Matters”), ma
che in realtà vengono sapientemente settati, per inserire con
precisione chirurgica degli attimi di puro silenzio, all’interno di
certe bordate distorte di Michele.
Tornando
invece al pedale Freeze, posto che Michele non ricorre a pedali
Looper, né tantomeno a basi preregistrate per stratificare il
proprio suono, fa invece un efficace utilizzo di questo pedale, che
ha la proprietà di prolungare all’infinito, quando premuto,
singole note o interi accordi, ai quali Michele sovrappone così
ulteriori linee di chitarra, in armonia o in dissonanza con le prime,
durante la stessa esecuzione. Un’ultima specialità del suo Guitar
Rig, è data infine dall’inserimento in pedaliera di un
sintetizzatore, non un pedale quindi, tant’è che viene collegato a
un ingresso e così ad un canale secondario dell’amplificatore da
chitarra, passando per un pedale Delay: Michele li utilizza in
combinazione fra loro per creare dei droni sonori, di transizione fra
un pezzo e l’altro o fra diversi passaggi di uno stesso brano. In
conclusione, un Guitar Rig non particolarmente complesso, ma con
alcuni accorgimenti (pedale Freeze e sintetizzatore), che lo rendono
(e lo fanno suonare), in maniera alquanto originale.
Esco
quindi dal backstage, avendo ampiamente soddisfatto la mia curiosità
riguardo al Guitar Rig di Michele, quand’ecco salire sul palco il
primo gruppo della serata, i Baal, un altro duo, seppur di basso e
batteria, con il bassista che si presta a fare pure il cantante.
Eseguono, con un basso distortissimo e linee vocali tendenzialmente
urlate, una manciata di pezzi, che definirei Punk, piuttosto che
Noise, Black o Death, come invece si legge nella loro pagina su
Bandcamp, prima di passare il testimone ai Nadsat. Questi ultimi,
dopo un paio di minuti di puro Noise, tanto per chiarire fin da
subito quale sia la principale pasta sonora della band, con una
chitarra letteralmente puntata a rovescio sul pavimento, suppongo per
aumentarne la vibrazione e così in feedback e saturazione crescente,
mentre Michele, inginocchiatosi, alza il potenziometro di un
distorsore, introducono il loro set, come preannunciatomi nel
backstage, con un paio di pezzi nuovi, che a chi, come me, è
arrivato preparato sul loro “Crudo”, lasciano presagire una certa
evoluzione, all’insegna di una maggior complessità ritmica e
quindi di una più spiccata propensione al Math, accompagnata per
converso da un incupimento del loro sound, che si fa di conseguenza
ancora più spesso, rumoroso e pressante, di quanto si possa
ascoltare in “Crudo”.
Tenere
il palco in due non è un’impresa semplice, ma la disposizione
laterale, anziché frontale, della batteria di Alberto, ne mette in
risalto una prestazione che definirei tentacolare, oltre che
particolarmente energica (Alberto spezzerà una serie di bacchette,
lungo tutto il set), mentre Michele è tanto carismatico, da sapersi
avvicinare al pubblico come in segno di sfida, finché il cavo della
sua chitarra glielo consente. In coda ad uno dei due pezzi nuovi,
apprezzo particolarmente l’uso del pedale Freeze, di cui dicevo
poc’anzi, che per qualche istante trasforma il duo, per così dire,
in un’orchestra di due elementi.
Non
saprei quanti, fra i presenti, già conoscessero i Nadsat (ho
l’impressione che molti di loro siano frequentatori locali e
abituali dell’Area, che è un circolo Arci), ma vedo sul viso dei
più lo stupore di chi stenta a credere che quel sound travolgente e
asfaltante, provenga solo da una chitarra e da una batteria. Si
arriva quindi all’esecuzione del pezzo di apertura di “Crudo”,
ovvero “Mesozoic”, che finalmente mi consente di constatare, sia
la capacità dei Nadsat di suonare esattamente come su disco, sia
l’abilità di chi ha curato, dalla regia, la registrazione
dell’album, sapendo catturare l’essenza live della band, nella
sua crudezza (a cui forse allude lo stesso titolo dell’opera). Nel
complesso, suonano certamente più energici e la pressione dei volumi
rende forse meno distinguibile quella dose di melodia, che comunque
non manca a “Crudo”, pur trattandosi di un album votato al Noise,
ma ne guadagna certamente l’impatto generale, facendo del duo un
vero e proprio schiacciasassi. Da “Mesozoic”, si passa a un altro
estratto di “Crudo”, “Novus”, con quell’incedere ritmico un
po’ Stoner, alternato per buona parte del pezzo a una sorta di
ritornello (se mi si passa il termine, in mancanza di un cantante),
che è forse il momento più coinvolgente del set dei Nadsat (vedo, a
quel punto, battere piedi e scuotere teste); il tutto, prima di
deviare bruscamente in territorio Math e Jazzcore, mettendo
nuovamente in risalto il livello tecnico del duo, con sequenze
ritmiche sempre più complesse e mitragliate Noise enfatizzate dal
doppio pedale di Alberto, il quale riprende fiato solo sulle battute
finali, quando “Novus” si conclude con alcuni colpi isolati (per
non dire mazzate), ben serrati sul rullante e in perfetta sincronia
con massicci e dissonanti powerchord, precisamente stoppati da
Michele fino al colpo di grazia, quello più fragoroso. Dopo questa
mazzata finale, in un silenzio che si fa più intenso per la soglia
di decibel appena sforata con “Novus”, il duo si concede un
attimo di pausa e prende quindi la parola Alberto, senza alcun
microfono, giusto per presentare la band e i quattro pezzi appena
eseguiti, ricordando l’uscita di “Crudo” quasi un anno fa,
nonché per introdurre, a seguire, un altro pezzo nuovo, sul quale
posso semplicemente confermare quanto detto sopra in merito allo
stile dei primi due. A quel punto, dal mixer, viene purtroppo
segnalato ai Nadsat, che c’è tempo solamente per un altro pezzo,
prima di dover lasciare il palco agli Psicotaxi, ultimo gruppo della
serata e così Michele annuncia “Dolomite”, traccia conclusiva di
“Crudo”, sacrificando “Droid” (come scoprirò poco dopo,
facendomi mostrare la scaletta originaria da Alberto). L’esecuzione
è nuovamente impeccabile e il brano, votato al Math e al Jazzcore,
come la seconda parte di “Novus”, non lascia quasi respirare, per
l’estrema velocità delle sue complesse trame ritmiche, soprattutto
nel crescendo a metà del pezzo, che nonostante il taglio di
scaletta, serve quindi sul piatto un finale di concerto semplicemente
esplosivo.
I
Nadsat si fanno quindi da parte, ringraziando il pubblico e dopo aver
salutato Michele e Alberto, non potrò fermarmi per gli Psicotaxi, ma
immagino che non sia stato facile, per loro, impegnare il palco, dopo
una performance così carica e devastante. Esco dunque dall’Area
pienamente soddisfatto e con il ritmo di “Novus” ancora in testa,
sperando di poter rivedere al più presto i Nadsat, magari da
headliner o comunque in un contesto che gli conceda spazio per un set
più lungo e con almeno qualche estratto in più dall’ottimo
“Crudo”, di cui mi porto a casa una copia su CD, assieme al loro
EP d’esordio.
Live
Report ad opera di Cesare Businaro for Edp