I CRAVING FOR
CAFFEINE (C4C) sono un duo umbro chitarra-batteria di matrice
rock/metal, con l'espediente dell'elettronica a coprire le frequenze
mancanti del basso. Nati da un trio mai decollato, vantano dal
2011 ad oggi un Ep e due full lenght, l'ultimo dei quali, The Rage
of the Rabbit, è sotto i nostri riflettori quest'oggi.
Il coniglio del titolo (splendido
artwork a firma Lori Meyers), campeggia sulla copertina e viene
ereditato dall'album precedente, all'interno di un concept che si sta
sviluppando nel tempo.
Per la retrospettiva della band e
l'intervista con i suoi membri, Simone 'Poca' Matteucci e Matteo
'Cav' Cavallaro, rimando al nostro articolo appena pubblicato (qui)
mentre procediamo in questa sede con qualche dato tecnico sull'album,
ma soprattutto con l'esaustiva e colta recensione del nostro
collaboratore Cesare Businaro.
Buona lettura e buon ascolto con il
rock dei Craving for Caffeine!
Contatti Band:
The
Rage of the rabbit
credits:
Scritto, arrangiato e suonato da
Craving For Caffeine (C4C)
I Craving For Caffeine sono: Simone
'Poca' Matteucci (chitarra,voce ed eletronica) e Matteo 'Cav'
Cavallaro (Batteria ed elettronica)
Registrato @Dyne Engine Studio e
@Burning Alien Studio
Mixato e Masterizzato @Dyne Engine
Studio, Castelfidardo (AN)
Artwork: Lori Meyers
Graphic: RGB
Multimedia
Photo: Riccardo
Garzia
Pubblicato ad Aprile 2019
Full Lenght formato
Cd
Qui lo ascolti
The
Rage of the Rabbit 2019
Autoprodotto
(Rock, Metal,
Elettronica)
1.
The trust show
2.
Overcome
3.
Seas of Shame
4.
Sad Land
5.
Make it Real
6.
Raven
7.
Scream your Voice
8.
Chatterers
9.
Take my Money
10.
The Blue Rain
RECENSIONE
CRAVING FOR
CAFFEINE The Rage of the Rabbit
Lp 2019 Autoprodotto
Il duo perugino dei
Craving for Caffeine ci propone anzitutto un CD confezionato “al
bacio”: manca il bigliettino con la frase d’amore, ma in compenso
lo ricevo con due adesivi del loro logo. Il dischetto alloggia nel
classico (ma più resistente al tempo) jewel case trasparente e la
copertina, un unico cartoncino ripiegato in due lembi per infilarsi
nella custodia, ritrae il coniglio “arrabbiato” del titolo in
versione fumettistica e “godzilliana”, nell’atto di distruggere
con una zampata gigantesca tutto ciò che gli si para davanti, mentre
si fa strada in mezzo ai grattacieli di una metropoli in stato di
coprifuoco. La grafica, firmata Lori Meyers, è davvero pregevole e
la testa del medesimo coniglio viene pure riprodotta sul lato
superiore del CD. Inutile dire che anche l’occhio vuole la sua
parte e che l’ascolto è ancor più invogliato da questi dettagli,
che nell’era corrente dello streaming sono (purtroppo) sempre più
trascurati.
Aprendo il pieghevole, da
amante della “sei corde”, non posso non notare che il “Poca”,
all’anagrafe Simone Matteucci, cantante/chitarrista dei Craving for
Caffeine, mette in bella mostra una Washburn N4, modello di chitarra
a firma del guitar hero degli Extreme, al secolo Nuno Bettencourt (se
ci fosse bisogno di specificarlo). Escluderei a questo punto che gli
autori del CD, a me sconosciuti (mea culpa) fino all’ascolto di
questa loro (eppur già) terza pubblicazione, possano proporre musica
lo-fi, mentre è decisamente più probabile (e sfoggiare uno
strumento del genere in copertina è addirittura – se vogliamo –
un atto di coraggio), che il genere proposto dai Craving for Caffeine
sia un robustissimo hard’n’heavy con derive funk/metal, sulla
scia della suddetta – e blasonata – formazione di Boston (sebbene
nota ai più per la ballad delle ballad, ovvero “More Than Words”).
L’ascolto dell’opera
non smentirà le mie previsioni: “The Rage of the Rabbit” è
infatti una sequenza di brani (in tutto 10 su 37 minuti, che al
termine del CD sembrano persino meno, tanto ne è scorrevole
l’ascolto), sostanzialmente improntati a un hard’n’heavy di
stampo decisamente chitarristico, nel senso che mette in evidenza
soprattutto i virtuosismi (comunque mai fini a sé stessi) del
“Poca”, presentandolo come un valido portavoce dello stesso verbo
già divulgato dal guitar hero di cui sopra, in particolare per la
vena funk/metal e il suo essere crossover, nel senso di arricchire il
tappeto hard’n’heavy su cui si stende più o meno l’intero
disco, con inserti di vario genere. Non è da meno, in ogni caso, il
socio del “Poca”, il cavalier Matteo (“Cav”) Cavallaro, che
suona come un metronomo, tirando dritto dall’inizio alla fine del
platter, senza mai perdere un colpo e amalgamando – con una pulizia
di suoni esemplare – le “variazioni sul tema” sciorinate dal
“Poca”.
E così, facendo un breve
track-by-track, allo slancio “funkeggiante” dell’opener song
(“The Trust Show”), segue la follia “zappiana” (soprattutto
nel comparto vocale, con uno stile narrante che non può non
ricordare i Primus) del secondo pezzo (“Overcome”), mentre nella
successiva “Seas of Shame” il riffing rimanda a quello dei già
citati Extreme, con giri di chitarra che a tratti richiamano il
muscoloso interludio della loro “Cupid’s Dead”; segue un quarto
pezzo (“Sad Land”), in cui le premesse di cui sopra, in merito al
crossover del “Poca”, sono particolarmente confermate da un
efficacissimo mix di hard’n’heavy (qui più tendente – invero –
al thrash, anche per la comparsa della doppia cassa), derive sludge
(in quello che “battezzo” il miglior ritornello dell’album, con
dei controcanti che strizzano perfino l’occhio agli Alice in
Chains) e un imprevedibile (ma perfettamente inserito) interludio di
chitarra flamenco; chiude la prima metà dell’album un brano (“Make
It Real”), che rispetto ai precedenti è forse al di sotto della
media, perlomeno al primo ascolto, ma che propone un ritornello molto
catchy, facendo del “Poca” anche un valido songwriter, seppur si
tratti – pacificamente e anzitutto – di un chitarrista.
Sotto quest’ultimo
profilo, va detto infatti che si nota lungo tutto il disco uno scarto
evidente fra il livello, estremamente tecnico, della sezione
strumentale, a cui non si può fare oggettivamente alcuna critica e
quello, decisamente migliorabile, del comparto vocale (attendo quindi
– e sin d’ora – il loro quarto lavoro). Si apprezzano
ugualmente gli spunti e le intenzioni già messe in risalto poco
sopra, ma non si può certo dire che al virtuosismo chitarristico del
“Poca”, rispondano capacità vocali di analoga caratura ed
efficacia, complici – forse – anche una pronuncia dell’inglese
non proprio “da madrelingua” e un mixaggio delle tracce vocali
non sempre pienamente integrato con le basi.
Merita comunque d’essere
sottolineato anche il fatto che il “Poca”, sul retrocopertina,
firmi non solo le linee vocali e di chitarra, ma pure l’elettronica
(questa, peraltro, in condivisione con il suo partner). E si tratta
dell’espediente con cui il duo rinforza il proprio sound,
integrandolo principalmente con le frequenze mancanti (quelle basse,
in assenza di un bassista), piuttosto che impreziosendolo con
transizioni “d’atmosfera” fra un pezzo e l’altro o fra più
parti dello stesso pezzo (e a questo proposito, sarei curioso di
verificare se ne facciano uso anche dal vivo e se utilizzino
l’elettronica sottoforma di basi, su cui suonare a click, piuttosto
che tramite l’attivazione di looper o sequencer, quando
necessario).
Riprendendo il
track-by-track, la seconda metà dell’album è decisamente più
improntata all’hard rock, anche per la presenza più massiccia di
assoli di chitarra nella sesta (“Raven”), settima (“Scream Your
Voice”) e ottava traccia (“Chatterers”) e in particolare su
quest’ultima (con il suo ritmo dance), in cui il “Poca” ci
propone l’assolo più lungo, veloce e probabilmente più ostico sul
piano tecnico: chapeau! Sulla stessa linea, sempre di matrice più
spiccatamente hard rock, merita una menzione a parte la successiva
“Take My Money”, introdotta da un riff che nessuno si stupirebbe
di trovare in un disco dei primi Van Halen, mentre a chiudere le
danze è il brano che forse, anche per il ritmo in half time, che
immagino possa scatenare un bel salto collettivo, se proposto in sede
live, stacca maggiormente dal resto del disco: “The Blue Rain 2.0”
ci propone un suono decisamente più alternative, a cavallo di un
killer riff, che nell’intenzione mi ha ricordato nientemeno che
quello – di “navarriana” memoria – della “Just Because”
dei Jane’s Addiction (lì in versione “2.0” pure loro).
Volendo esprimere un voto
e ribadito – a mio personalissimo parere – lo scarto fra sezione
strumentale e comparto vocale, opterei in questo caso per la media
aritmetica fra i rispettivi punteggi (di 9 e 6 decimi).
Cesare Businaro
7,5/10
Articolo ad opera
di Giusy Elle
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