INTRO
Ci capita spesso di presentare duo del Nord Italia, molto
meno dalle altre regioni. Come dimostra la mappatura dei duo chitarra-batteria
nazionali dell'
archivio Edp, è evidente la
diversa presenza di combo lungo lo Stivale, ma questa suddivisione non tiene
conto di quanti giovani musicisti meridionali, al Nord per lo più per studio,
fondano delle interessantissime band nella nuova sede di residenza. Non è però
il caso del duo di oggi, catanese d'origine, che nella propria Sicilia milita,
studia, lavora e tiene alto il nome delle 2-piece nazionali. Andiamo a vedere
come si muove l'onda grezza del rock nella bella isola trinacria.
BIOGRAFIA
I ROUGH ENOUGH sono un duo alt-rock catanese composto da due
giovani attivi nel sociale: il chitarrista Fabiano Gulisano, psicologo classe
'89, e il collega alle pelli Raffaele Auteri ('94), studente di sociologia. Un
duo fortemente voluto ma dagli esordi complessi, che si stabilizza finalmente
in questa formazione soltanto nel 2017.
Fabiano, dopo militanze in band poco durature, inizia a
comporre materiale personale con il preciso intento di creare un duo
chitarra-batteria, ed è nel 2014, con Danilo Bonfiglio, che riuscirà a
concretizzare su palco la decina di pezzi fino ad allora abbozzati. La demo dei
brani giunge anche a
Daniele Grasso
della Dcave Records che, per primo, coglie il potenziale della band proponendo
un contratto per la pubblicazione di quel materiale con la succursale The Kids
Are All Right. Sembra una bella notizia! Ma il batterista non si sente di
firmare... sarà Gabriele Sinardi a prendere il suo posto al Cave Studio di
Catania per registrare
Get Old and Die(2016), opera prima di ben dieci tracce grintose, con la quale i Rough Enough
si presentano nella scena musicale locale; purtroppo anche questo batterista
misteriosamente sparisce, lasciando sospesa la promozione dell'album. Sarà
l'incontro fortuito ma decisivo con Raffaele Auteri, infine, a salvare il duo,
portando finalmente il bell'album sui palchi e attraendo la giusta attenzione
sulla band: i loro live sono energici e incandescenti, un fresco mix di corpose
distorsioni di chitarra e drumming dall’attitudine punk, un ottimo omaggio a
duo come gli storici White Stripes o i nostrani BSBE ma anche a certe sonorità della band concittadina Uzeda.
Dopo gli opening act per One Dimensional Man e Giungla, vari
festival e un tour di presentazione, i due si apprestano a comporre il
materiale per rientrare in studio di registrazione. Ne nasce un altro Lp (12 le
tracce), dal titolo Molto poco zen, cantato completamente in italiano, a
differenza dei brani misti con l'inglese dell'opera precedente. La sua musica
è travolgente e positiva ma i testi ci
rivelano un duo che medita, come molti ormai, sulle problematiche di questo
mondo: non è la politica il tema principale, nemmeno lo scompiglio ecologico,
ma l'uomo in sé e il suo sentire, soprattutto il suo soffrire. Molto poco
zen è la risposta a piccole crisi personali e raccoglie pensieri
in bilico tra la metariflessione, la paura della morte, l'illusione e la noia
ma è anche una forte critica al giornalismo sensazionalistico o all'inciviltà
del cittadino medio. E' sì uno spaccato di quotidianità appesantita da un
generale mal di vivere, ma anche "una sorta di 'urgenza sociale', il
bisogno di ritrovare la collettività che non riesce a trovar pace e diventa
rabbia mista a delusione [...] la necessità di un cambiamento in positivo, la
voglia di fare nonostante la complessità degli eventi", un'incitazione
a migliorare che rivela una luce di speranza, come riportato nel comunicato
stampa della band.
Molto poco zen viene registrato e mixato da Davide
Iannitti (Loveless Whizzkid, Stash Raiders, Cambogia) presso la Sonic Fun House
di Catania e, con il mastering di Filippo Strang, viene pubblicato il 18
Gennaio 2019 dall'Overdub Recordings di Marcello Venditti. Anticipato dal video
della prima traccia "Mackie", contiene anche una piccola chicca di
Ufo dei The Zen Circus: un simpatico dialogo telefonico con Fabiano, mentre
elargisce alcuni improbabili suggerimenti... A pochi giorni dalla pubblicazione
esce anche un secondo video, tratto dalla title-track, la ballad che conclude
l'ascolto del disco. A proposito di video: dopo il live per la data Catanese
del festival itinerante "Rocketta Summer Live 2019", un loro brano
viene scelto per la realizzazione di un videoclip in pellicola 8mm, che viene
infine presentato nella manifestazione cittadina "Terre di Cinema".
E' ora di ascoltare un po' di musica: qui in calce i due
video tratti dall'album e nell'articolo a seguire l'ascolto e la
recensione di
Molto poco zen a firma Cesare
Businaro. Qui procediamo con una breve presentazione dell'etichetta prescelta
per la pubblicazione e con l'intervista ai nostri Fabiano Gulisano e Raffaele
Auteri. Buona lettura e buon ascolto, quindi, poi mi farete sapere... i Rough
Enough sono rudi abbastanza?
LABELS
OverDub Recordings http://www.overdubrec.com
L'Overdub Recordings è un'etichetta discografica
indipendente fondata nel 2013, tra Firenze e Benevento, da Marcello Venditti.
Nasce come branchia della più nota Worm Hole Death, nell'ottica di esplorare
nuovi territori sonori. L'alternative rock è il genere prediletto, ma ciò che
accomuna le pubblicazioni di questa label è soprattutto lo spirito e
l'attitudine delle sue band: spiccate qualità artistiche e attitudine ben
precisa, che vengono quindi supportate nello sviluppo di progetti
immediatamente riconoscibili dal punto di vista sonoro e comunicativo. I ROUGH
ENOUGH sono il primo power duo con cui l'etichetta si sia approcciata finora.
https://www.facebook.com/OverdubRecordingsLabel
INTERVISTA
1. Fabiano e Raffaele, benvenuti
a questo nostro appuntamento dell'Edp. Conosco meno la scena musicale della vostra
regione, volete introdurci alle sonorità isolane? Com'è l'underground dalle
vostre parti, quali i generi prediletti e com'è la realtà dei locali? Quali le
città più ricettive, in tal senso, e nello specifico nel catanese?
R.- La Sicilia ha una storia importante negli anni '80 e
'90, grazie soprattutto a band di calibro internazionale come gli Uzeda, che
inevitabilmente hanno condizionato le sonorità tipiche catanesi negli anni a
venire, prediligendo il post rock, l'alternative rock e tutto il filone anni
'90. Negli ultimi anni i gusti si sono allargati, complice internet e la sempre
maggior presenza di progetti meno chitarristici, creando un'interessante
amalgama di musicisti. Fortemente presente una componente per ogni genere,
dall'elettronica all'hardcore punk, dall'indie pop al metal, dallo shoegaze al
post rock. Ovviamente, non tutti riescono a esibirsi con la stessa frequenza,
complice il gusto degli spettatori e i locali, che per la maggior parte
prediligono progetti più soft, ma non mancano festival e rassegne importanti
(Ypsigrock, Rocketta) o locali storici che continuano a proporre concerti di
qualità (Candelai a Palermo, Retronouveau a Messina, Zo a Catania).
In questo momento storico, Catania si è un po' affievolita:
pochi locali e, purtroppo, pochi spettatori, che preferiscono dj set e serate
dance alla musica live. Si resiste, ma sarebbe bello percepire più curiosità
nell'ascoltatore medio; spesso si vedono sempre le stesse facce ai concerti
undergorund.
2. Fabiano, avevi in mano un
repertorio personale, per chitarra e voce, che volevi concretizzare proprio con
la sola batteria. Il duo è quindi una scelta ben ponderata: vuoi illustrarci le
motivazioni di questa tua decisione? Avevi in mente qualche duo di riferimento?
F. Dopo disastrose esperienze in formazioni di tre o più
elementi puntavo all’essenziale: un “partner in crime” con il quale condividere
le esperienze ed una botta sicura di energia ai live, cercavo la comodità di
prendere decisioni, organizzare prove e spostamenti in maniera “snella”. Come
tanti, mi sono sentito incoraggiato dai White Stripes, dai BSBE, per poi
scoprire tante altre formazioni non solo chitarra e batteria, ma anche basso e
batteria. Ovviamente essere in due ha anche aspetti meno positivi, come il
carico delle spese che risulta leggermente più pesante.
3. A livello tecnico, come
risolvete la presenza del suono scaturito da due soli strumenti?
F. Negli anni abbiamo costruito ed integrato il nostro set
up (specifici effetti in pedaliera, segnale sdoppiato su amplificatore per
chitarra e per basso) nell’ottica di creare un muro di suono e giocare
dinamicamente con momenti di riempimento e svuotamento. Al di là di questo,
conta l’energia che mettiamo in ballo quando suoniamo!
4. Il vostro prodotto finale è in
forma-canzone ma so che partite dall'improvvisazione. Come si sviluppa quindi
un vostro brano?
F. Ci sono riff improvvisati durante le jam in sala e idee
che nascono fuori. Si tratta sempre di qualcosa di viscerale e spontaneo che
poi elaboriamo tenendo d’occhio la classica forma della canzone. Selezioniamo,
limiamo e togliamo il superfluo, finchè il risultato piace ad entrambi e
reputiamo abbia una sua coerenza interna.
5. Molto poco zen, il
vostro secondo disco, si potrebbe definire un concept album. I testi seguono
una tematica comune e ci mostrano una società indifesa, emotivamente debole, in
preda a timori e insicurezze. E' semplicemente un guardarsi in giro, Fabiano,
oppure queste figure vengono ispirate dalla tua professione di psicologo? E in
quale misura questo 'quadro' vi pare così poco Zen?
F. Guardarsi in giro è fondamentale, guardarsi dentro pure,
saper coniugare entrambe le cose e imparare a fare esperienza di quel che ci
accade è un’abilità che va allenata: sicuramente in questo la psicologia mi ha
dato una mano. Il messaggio dell’album ruota intorno alla difficoltà di
connettersi emotivamente con se stessi e con il mondo nel qui ed ora, per vari
motivi: rabbia, tristezza, angoscia, paura. Emozioni che, nonostante i buoni
propositi, non sempre riusciamo ad accettare e comprendere: in questo senso
siamo “molto poco zen”.
6. Fortunatamente l'album non è
solo il ritratto di un mondo in difficoltà, si sente anche l'urgenza di una
soluzione, parlateci del messaggio positivo che si cela dietro le tante debolezze
dei giorni nostri.
R. Il messaggio positivo è quello che il cambiamento parte
sempre dal basso. L'idea di un disco sociale e, inevitabilmente, politico
(seppur non esplicitamente) rimarrà sempre quella di far porre domande a chi lo
ascolta. Prendere atto che c'è un problema nella società moderna, nei modi di
fare, di porsi con gli altri. Capire che finché si resta solo a guardare,
allora resteremo per sempre a lamentarci. Forse, più di tutti, far capire che
non si è soli, abbandonati in una società di cui non vorremmo far parte. Credo
che, in fondo, dietro ci sia il più primordiale senso di comunità dell'uomo
sociale di raggrupparsi e convivere secondo valori comuni e consolidati, che
non ritroviamo nella maggior parte dei componenti della società.
7. Il vostro genere musicale si
presta bene all'inglese, tant'è che molti dei testi del primo album erano
scritti in tale lingua. Già comparivano i primi pezzi in taliano, però... Con
questo secondo disco vi siete completamente vocati alla lingua nazionale. Certo,
c'è una bella tradizione di Alt-rock italiano, ma visto il messaggio delle
canzoni, è stata anche una scelta dettata dalla necessità di comunicazione, nel
desiderio di far arrivare più direttamente il messaggio proposto?
F. L’inglese è stato un primo approccio per comunicare senza
esporsi troppo. In qualche modo usare una lingua diversa dalla nostra dà una
sensazione di protezione dal giudizio altrui, quando non si è pronti a mettersi
“a nudo” di fronte al pubblico. Poi ho preso sicurezza, ho scelto di scrivere i
testi in italiano e mi è piaciuto sempre di più, proprio per l’immediatezza del
messaggio. Fare musica è comunicare, anche se continuo a combattere comunque
contro un’altra mia difesa, l’ermeticità, quando tratto argomenti che mi stanno
particolarmente a cuore, e non sempre vinco.
8. Due dischi e due etichette
discografiche. Ci raccontate di queste realtà da voi selezionate?
R. Sono stati due approcci totalmente diversi, dettati da
dinamiche compositive differenti. Nel primo disco la produzione assunse un
ruolo di guida “artistica”, che da un lato forse permette di lavorare meglio in
produzione, ma dall'altro finisce con lo smontare il prodotto. Il primo disco
ha un'essenza live totalmente diversa, si discosta moltissimo
dall'impacchettamento che ha ricevuto in registrazione. Il secondo disco è nato
in maniera opposta, ci riamo ritrovati a comporre tra il 2017 e il 2018 in
maniera spontanea; essendoci appena formati, ci è venuto quasi naturale
buttarci su canzoni nuove, che fossero di entrambi. Quindi la registrazione con
Davide Iannitti al Sonic Funhouse Studio, esperienza che ci ha molto formato in
ottica di musicisti di professione. Abbiamo da subito avuto piena libertà,
potendo gestire come meglio credevamo il sound, i suoni e la composizione.
Davide è stato poi una guida importantissima, ha preso davvero a cuore il
progetto e siamo felicissimi del lavoro svolto. L'idea era dal principio quella
di un disco “live”, sporco, ruvido, viscerale. Volevamo che l'impatto del
concerto venisse cristallizzato nelle canzoni registrate. A disco finito ci
siamo messi in contatto con Overdub Recordings che ha amato il prodotto e si è
deciso di collaborare per la produzione effettiva, trovando un'etichetta
professionale e molto affine al genere che suoniamo e, soprattutto, a una
ricerca continua di qualità ed emozione punk. Ci è da subito piaciuto
l'atteggiamento di Marcello Venditti, che ha sempre seguito il progetto
lasciandoci sempre la libertà necessaria e cercando sempre un punto d'incontro,
senza mai imporsi solo per il ruolo che ricopriva. E' bello trovare persone che
riescono a capire i musicisti.
9. Ben due video tratti
dall'album. Come si sono sviluppate le riprese?
R. Le riprese dei due videoclip sono state affidate a Mauro
Sodano, che non possiamo che ringraziare. Ci piaceva l'idea di ricalcare
visivamente le emozioni del disco: il set di Mackie risultava perfetto, essendo
anche il luogo in cui è stata scattata la foto che divenne copertina dell'album
e dando continuità visiva al progetto. Poi per una serie di circostanze ci
siamo ritrovati sempre a girare video in luoghi dissestati, andando sempre più
a ricalcare visualmente questa sensazione di decadenza di cui cantiamo nelle
nostre canzoni. Metaforicamente, vederci suonare in una città come Catania o
vederci suonare in un rudere abbandonato, a noi risulta quasi la stessa cosa.
10. Dopo quasi un anno e mezzo dalla pubblicazione di Molto poco zen,
quali i progetti futuri dei Rough Enough?
R. Sicuramente il primo tour fuori dalla Sicilia. Era già in
programma per Marzo, ma ovviamente abbiamo dovuto rimandare il tutto a un
momento più felice per l'Italia. Speriamo di poter tornare presto a suonare,
cercando anche di capire come si gestiranno nell'imminente futuro i concerti dopo
l'emergenza coronavirus.
Già da tempo stiamo lavorando al nuovo disco, abbiamo
composto molte canzoni e aspettiamo di avere le idee chiare sulle ultime
composizioni prima di prepararci alla registrazione effettiva. Cercheremo di
alzare ancora l'asticella: le canzoni nuove, a nostro avviso, sono un
grandissimo passo in avanti a livello tecnico e compositivo rispetto a Molto
Poco Zen, senza che comunque snaturino quella che è l'essenza del progetto.
Molto poco zen è un disco punk nell'anima, ci piace per quello, ma con questo
terzo disco cerchiamo di raggiungere una maturità musicale che sentiamo di
dover mostrare da tempo. Sarà un disco più cattivo e intenso, vicino alle
sonorità post rock/noise anni 90.
Bene Fabiano e Raffaele, siamo
giunti alla conclusione di questa piacevole intervista. Non ci resta che
ringraziarvi ed augurarvi un meritato proseguio di carriera! Grazie anche a voi! Ci si vede ai Live!
DISCOGRAFIA
MOLTO POCO ZEN 2019, Overdub Recordings (Altrock,
GaragePunk)
1.Mackie 2.Una lunga
serie di scelte sbagliate 3.Finchè
morte non ci separi 4.Non è colpa
mia 5.Il quarto stato 6.Polvere
7.U.F.O. 8.Kairo 9.Ode ai relitti 10.Noia 11.Esercizio di
stile 12.Molto poco zen
GET
OLD AND DIE
2016, The Kids Are Alright (Dcave Records), (Altrock, GaragePunk)
1.Blob 2.#42
3.Vite sbagliate 4.19.05 5.Face the Day 6.Big All 7.Sala
d'attesa 8.Bisturi 9.Call My Name 10.The Day is My Enemy (The Prodigy)
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Articolo e intervista ad opera di Giusy Elle