ROUGH ENOUGH: un duo siciliano che
omaggia il bel garage punk degli esordi dei power duo, dagli storici
White Stripes ai nazionali BSBE così come certe sonorità della band concittadina Uzeda mentre, con il cantato in italiano, si inserisce
appieno nella tradizione Altrock nostrana. Loro sono Fabiano Gulisano (chitarra
e voce) e Raffaele Auteri (batteria e cori).
Due gli Lp già sfornati, di cui il secondo, Molto poco
zen, è quello di cui trattiamo in questa sede. Frutto di un intenso
percorso di crescita personale, raccoglie e sviluppa, in chiave punk, suoni
sporchi, ritmiche viscerali e testi provocatori. Un bel 12 tracce da 46 minuti
(compresa un outro ghost track) in bilico tra rock, punk e suggestioni blues. I
loro testi, piuttosto intensi, parlano di una società in preda ad ansie, paure
e preoccupazioni, un mondo che può cambiare solo se si abbandonano tutti gli
alibi. Esce il 18 gennaio 2019 per OverDub Recordings mentre viene anticipato
da un primo video tratto da "Mackie",
la prima traccia dell'album; al suo interno anche una piccola chicca di Ufo dei
The Zen Circus.
Per tutti i dettagli
sul disco, sulla band e per gli approfondimenti con la loro intervista, rimando
all'articolo appena pubblicato; qui a seguire,
invece, l'ascolto guidato di Molto poco zen con l'esaustiva recensione del nostro Cesare
Businaro. A voi i suoni grezzi e ruvidi dei catanesi Rough Enough, un duo da
tener d'occhio, perchè ci sta già preparando una nuova vagonata di rock!
Video:
"Molto poco zen" https://youtu.be/8mUGKVjtSuQ
Molto poco Zen credits:
Scritto e suonato da Rough Enough: Fabiano Gulisano
(chitarra, voce, testi) e Raffaele Auteri (batteria e cori)
Registrato e mixato da Davide Iannitti @Sonic Fun House (CT)
Masterizzato da Filippo Strang @VDSS (Roma)
Pubblicato il 18 Gennaio 2019
Formato Cd e digitale
A&R:
Marcello Venditti
Label &
Management: Overdub Recordings
Distribuzione:
Code7/Plastic Head
Ufficio
Stampa: Purr Press
Qui lo ascolti
Molto poco zen
2019
OverDub Recordings
(AltRock, GaragePunk)
1- Mackie
2- Una lunga serie di
scelte sbagliate
3- Finchè morte non
ci separi
4- Non è colpa mia
5- Il quarto stato
6- Polvere
7- U.F.O.
8- Kairo
9- Ode ai relitti
10- Noia
11- Esercizio di
stile
12- Molto poco zen
RECENSIONE
ROUGH
ENOUGH "Molto poco zen"
Lp 2019
OverDub Recordings /
Code7/Plastic Head
Degni del loro nome, i catanesi Rough Enough propongono in “Molto poco
zen”, un indie/rock “abbastanza
grezzo”, pregno com’è di un punk
re-interpretato, complice la struttura minimale del duo, in maniera tanto
essenziale, ruvida e tagliente, da render merito altresì alla loro provenienza
geografica. Ogni riferimento ai concittadini Uzeda (e così ai Fugazi, per
quanto li ispirarono), non è per niente casuale, mentre per i frangenti più
melodici della loro proposta e soprattutto per l’approccio vocale – con liriche
in italiano, fatta eccezione per qualche verso in dialetto (“picchì tu si
spettu, u fai ppi campari”) – sembra lecito (e nemmeno troppo azzardato),
accostarli a formazioni del calibro di C.S.I., Marlene Kuntz o Verdena.
Senza prendersi eccessivamente sul serio, tanto da poter fare della sana
e divertente auto-ironia, inserendo “a metà disco spaccato” la registrazione di
una telefonata con un presunto mentore dall’accento toscano (“U.F.O.”), che
pretende di elargire consigli su come scrivere testi più “ganzi” per piacere
alla gente, il duo, quasi cercando un approccio confidenziale con
l’ascoltatore, al quale in effetti – dai rumori di sottofondo, che si
percepiscono in apertura alla prima traccia (“Mackie”) – sembra voler offrire
una birra e una sigaretta in compagnia, canta lo sfogo di una generazione
(presumibilmente l’ultima), che stenta a riconoscersi nel mondo attuale, a cui
rinfaccia la pretesa di distruggere la propria “idea di normalità” (“Non è
colpa mia”), manipolandola con il “quarto potere” (“Il quarto stato”) e al cui
modello (o prodotto stereotipato) di persona, arriva nella title track ad augurare, con sadico umorismo, una morte – tutto
sommato – “molto dolce”: quella cioè di soffocarsi con il Nesquik, qui forse preso a simbolo della globalizzazione e del
modello di consumismo, dal quale il nostro narratore ribelle e “molto poco
zen”, vuol prendere le distanze.
Musicalmente, il duo non abusa di effetti o stratagemmi particolari, per
supplire alla mancanza di altri strumenti nel proprio organico, oltre alla
chitarra di Fabiano Gulisano e alla batteria di Raffaele Auteri; qua e là
compare, a rinforzarne il sound, la cui
dinamica è sostanzialmente rimessa al livello di saturazione della seicorde, un
uso comunque moderato del pitch shifting,
vuoi per toccare le frequenze più basse (vd. il riff di “Polvere”, tanto
fuzzoso e roboante, da suonare stoner),
vuoi per armonizzare la chitarra come fosse un organo (vd. l’interludio
melodico di “Non è colpa mia”), ma senza in ogni caso snaturare la semplicità
della proposta, che unita all’efficacia delle liriche (incisive e
orecchiabili), è ciò che si apprezza fin dal primo ascolto del platter.
Degni di menzione a
parte, l’ipnotico – seppur breve – assolo della già citata “Polvere” (forse
l’unico di tutto il disco) e l’introduzione di “Ode ai relitti” (sullo stile –
romantico – degli Afghan Whigs).
7/10
Articolo ad opera di Giusy Elle
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