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venerdì 23 marzo 2018

157. Live Report 4: NADSAT



Dopo molto che questo servizio era andato nel dimenticatoio, eccoci a riproporre i live report dei duo chitarra-batteria grazie al contributo del nostro nuovo collaboratore Cesare Businaro.
Il duo in esame, i NADSAT; la serata live: all'Arci Area di Carugate (MI).
Cesare, da buon chitarrista, si è preso la briga di studiare la strumentazione di Michele Malaguti, il chitarrista dei Nadsat, e di presentarcela in tutti i suoi particolari tecnici, relazione utilissima per comprendere al meglio la resa stratosferica su palco di certi duo... A voi i trucchi del mestiere!


NADSAT
Live @ Area, Carugate (MI), 17.3.2018
(Guitar Rig + Live Report)
By Cesare Businaro

Ero molto curioso di vedere i Nadsat dal vivo. Per fortuna, la data di S.Patrizio all’Area di Carugate è stata annunciata giusto qualche settimana dopo aver scoperto il loro “Crudo” su Edp, un album che mi è piaciuto fin dal primo ascolto, non solo per la mia famigliarità con certo Noise, da fan degli Helmet, ma anche per la sua capacità di tenere alta e persino in sospeso la mia attenzione, di traccia in traccia. Mancava quindi la prova del 9, ovvero il live, per verificare quanto il duo sapesse riproporre, di ciò che ha registrato in studio.

Ho raggiunto l’Area con sufficiente anticipo da potermi presentare a Michele Malaguti e Alberto Balboni, rispettivamente chitarrista e batterista dei Nadsat e farci una piacevole chiacchierata e visto che Edp ha già trattato di tutto il resto e che, da chitarrista, ero molto interessato all’argomento, ho parlato in particolare con Michele del suo Guitar Rig, che mi ha gentilmente mostrato, accompagnandomi nel backstage. Scopro così che il segnale della sua chitarra viene suddiviso a monte, sfruttando le due uscite di un pedale Octave, collegato in pedaliera subito dopo un accordatore: da una prima uscita, il segnale, ribassato di un’ottava, si dirige quindi verso un amplificatore da basso, passando per un paio di distorsori. L’altra uscita del pedale Octave, immette invece il segnale puro, ossia non effettato, in un pedale analogo, che Michele utilizza per sovrapporci l’ottava più alta. Segue una serie di ulteriori distorsori, prima che il segnale, passando per un pedale Freeze e un riverbero, s’immetta in un amplificatore da chitarra. A valle di entrambe le catene, campeggiano infine dei riduttori di rumore, cosa che può far storcere il naso, pensando ai Nadsat come ad una band di genere Noise (anche sul listino del loro merchandising, noterò poco dopo lo slogan “Noise Matters”), ma che in realtà vengono sapientemente settati, per inserire con precisione chirurgica degli attimi di puro silenzio, all’interno di certe bordate distorte di Michele.

Tornando invece al pedale Freeze, posto che Michele non ricorre a pedali Looper, né tantomeno a basi preregistrate per stratificare il proprio suono, fa invece un efficace utilizzo di questo pedale, che ha la proprietà di prolungare all’infinito, quando premuto, singole note o interi accordi, ai quali Michele sovrappone così ulteriori linee di chitarra, in armonia o in dissonanza con le prime, durante la stessa esecuzione. Un’ultima specialità del suo Guitar Rig, è data infine dall’inserimento in pedaliera di un sintetizzatore, non un pedale quindi, tant’è che viene collegato a un ingresso e così ad un canale secondario dell’amplificatore da chitarra, passando per un pedale Delay: Michele li utilizza in combinazione fra loro per creare dei droni sonori, di transizione fra un pezzo e l’altro o fra diversi passaggi di uno stesso brano. In conclusione, un Guitar Rig non particolarmente complesso, ma con alcuni accorgimenti (pedale Freeze e sintetizzatore), che lo rendono (e lo fanno suonare), in maniera alquanto originale.

Esco quindi dal backstage, avendo ampiamente soddisfatto la mia curiosità riguardo al Guitar Rig di Michele, quand’ecco salire sul palco il primo gruppo della serata, i Baal, un altro duo, seppur di basso e batteria, con il bassista che si presta a fare pure il cantante. Eseguono, con un basso distortissimo e linee vocali tendenzialmente urlate, una manciata di pezzi, che definirei Punk, piuttosto che Noise, Black o Death, come invece si legge nella loro pagina su Bandcamp, prima di passare il testimone ai Nadsat. Questi ultimi, dopo un paio di minuti di puro Noise, tanto per chiarire fin da subito quale sia la principale pasta sonora della band, con una chitarra letteralmente puntata a rovescio sul pavimento, suppongo per aumentarne la vibrazione e così in feedback e saturazione crescente, mentre Michele, inginocchiatosi, alza il potenziometro di un distorsore, introducono il loro set, come preannunciatomi nel backstage, con un paio di pezzi nuovi, che a chi, come me, è arrivato preparato sul loro “Crudo”, lasciano presagire una certa evoluzione, all’insegna di una maggior complessità ritmica e quindi di una più spiccata propensione al Math, accompagnata per converso da un incupimento del loro sound, che si fa di conseguenza ancora più spesso, rumoroso e pressante, di quanto si possa ascoltare in “Crudo”.

Tenere il palco in due non è un’impresa semplice, ma la disposizione laterale, anziché frontale, della batteria di Alberto, ne mette in risalto una prestazione che definirei tentacolare, oltre che particolarmente energica (Alberto spezzerà una serie di bacchette, lungo tutto il set), mentre Michele è tanto carismatico, da sapersi avvicinare al pubblico come in segno di sfida, finché il cavo della sua chitarra glielo consente. In coda ad uno dei due pezzi nuovi, apprezzo particolarmente l’uso del pedale Freeze, di cui dicevo poc’anzi, che per qualche istante trasforma il duo, per così dire, in un’orchestra di due elementi.

Non saprei quanti, fra i presenti, già conoscessero i Nadsat (ho l’impressione che molti di loro siano frequentatori locali e abituali dell’Area, che è un circolo Arci), ma vedo sul viso dei più lo stupore di chi stenta a credere che quel sound travolgente e asfaltante, provenga solo da una chitarra e da una batteria. Si arriva quindi all’esecuzione del pezzo di apertura di “Crudo”, ovvero “Mesozoic”, che finalmente mi consente di constatare, sia la capacità dei Nadsat di suonare esattamente come su disco, sia l’abilità di chi ha curato, dalla regia, la registrazione dell’album, sapendo catturare l’essenza live della band, nella sua crudezza (a cui forse allude lo stesso titolo dell’opera). Nel complesso, suonano certamente più energici e la pressione dei volumi rende forse meno distinguibile quella dose di melodia, che comunque non manca a “Crudo”, pur trattandosi di un album votato al Noise, ma ne guadagna certamente l’impatto generale, facendo del duo un vero e proprio schiacciasassi. Da “Mesozoic”, si passa a un altro estratto di “Crudo”, “Novus”, con quell’incedere ritmico un po’ Stoner, alternato per buona parte del pezzo a una sorta di ritornello (se mi si passa il termine, in mancanza di un cantante), che è forse il momento più coinvolgente del set dei Nadsat (vedo, a quel punto, battere piedi e scuotere teste); il tutto, prima di deviare bruscamente in territorio Math e Jazzcore, mettendo nuovamente in risalto il livello tecnico del duo, con sequenze ritmiche sempre più complesse e mitragliate Noise enfatizzate dal doppio pedale di Alberto, il quale riprende fiato solo sulle battute finali, quando “Novus” si conclude con alcuni colpi isolati (per non dire mazzate), ben serrati sul rullante e in perfetta sincronia con massicci e dissonanti powerchord, precisamente stoppati da Michele fino al colpo di grazia, quello più fragoroso. Dopo questa mazzata finale, in un silenzio che si fa più intenso per la soglia di decibel appena sforata con “Novus”, il duo si concede un attimo di pausa e prende quindi la parola Alberto, senza alcun microfono, giusto per presentare la band e i quattro pezzi appena eseguiti, ricordando l’uscita di “Crudo” quasi un anno fa, nonché per introdurre, a seguire, un altro pezzo nuovo, sul quale posso semplicemente confermare quanto detto sopra in merito allo stile dei primi due. A quel punto, dal mixer, viene purtroppo segnalato ai Nadsat, che c’è tempo solamente per un altro pezzo, prima di dover lasciare il palco agli Psicotaxi, ultimo gruppo della serata e così Michele annuncia “Dolomite”, traccia conclusiva di “Crudo”, sacrificando “Droid” (come scoprirò poco dopo, facendomi mostrare la scaletta originaria da Alberto). L’esecuzione è nuovamente impeccabile e il brano, votato al Math e al Jazzcore, come la seconda parte di “Novus”, non lascia quasi respirare, per l’estrema velocità delle sue complesse trame ritmiche, soprattutto nel crescendo a metà del pezzo, che nonostante il taglio di scaletta, serve quindi sul piatto un finale di concerto semplicemente esplosivo.

I Nadsat si fanno quindi da parte, ringraziando il pubblico e dopo aver salutato Michele e Alberto, non potrò fermarmi per gli Psicotaxi, ma immagino che non sia stato facile, per loro, impegnare il palco, dopo una performance così carica e devastante. Esco dunque dall’Area pienamente soddisfatto e con il ritmo di “Novus” ancora in testa, sperando di poter rivedere al più presto i Nadsat, magari da headliner o comunque in un contesto che gli conceda spazio per un set più lungo e con almeno qualche estratto in più dall’ottimo “Crudo”, di cui mi porto a casa una copia su CD, assieme al loro EP d’esordio.


Live Report ad opera di Cesare Businaro for Edp

martedì 6 marzo 2018

156. RECENSIONE50: Entartete Kunst by Malatesta




I MALATESTA sono un duo nato a fine 2015 dalla maestria di due validi musicisti perugini, (Marco Polito alla chitarra e voce e Franco Pellicani alla batteria) i cui background vari e colti, espressi dapprima in jam session, sfociano infine in una serie di brani multistile. Nel loro Entartete Kunst, Lp dell'estate 2017, potrete trovare rimembranze di Kraut e Industrial, Hardcore e approccio Free, Doom e quadrature Math, il tutto venato di Psichedelia e interventi noise. Del resto la jam multistile è una passione per il batterista Pellicani, tanto da organizzare, nella sua Perugia, serate a tema.

Il minimalismo è però ciò che contraddistingue maggiormente questo duo, non soltanto nella scelta della formazione o nella grafica che li rappresenta ma anche e soprattutto nell'approccio stilistico: le note sono poche, tutto ruota attorno a riff mantricamente ripetuti mentre l'effetto psichedelico è assicurato. Il minimalismo stilistico è una qualità che intendono incentivare, come svelato nell'intervista Edp appena pubblicata (qui), visto che il nuovo disco, di prossima pubblicazione, volge ulteriormente in questo senso. Diversa era invece l'atmosfera del primissimo Ep dove un'unica lunga traccia li ritraeva in una ricca jam con il chitarrista alle tastiere.

Vi lasciamo all'ascolto di Entartete Kunst, una chicca per esperti, e alla sua approfondita recensione da parte del nostro collaboratore Luca Sabata, batterista dell'ex duo sperimentale partenopeo Karawane. Buon ascolto e buona lettura da noi dell'Edp.

Contatti Band:

Entartete Kunst credits:
Composto e suonato da Marco Polito (Chitarra, voce, tastiere) e Franco Pellicani (Batteria)
Registrato presso Rokkaforte Studio di Castiglione del Lago (PG) da Matteo Burico e Enrico Giovagnola (Ottobre 2016)
Mixaggio: Malatesta, Matteo Burico e Enrico Giovagnola
Mastering: Franco Pellicani
Foto e Artwork: Ilaria Catrana
Pubblicazione: 21 Luglio 2017
Formato: Cd e digitale


Qui lo ascolti

ENTARTETE KUNST 2017
Autoprodotto (Sperimentale, Psichedelia, Noise)

1. Blume
2. Boris
3. Ferro17
4. Muoia Sansone
5. Dun Dun Sun
6. Tu non sei un cavallo
7. Under my Skin


RECENSIONE
MALATESTA "Entaretete Kunst"
Lp 2017 Autoprodotto

È difficile recensire un disco come questo, dove la dimensione duo si espande in una forma di dualismo che contrappone l’apparenza di un minimalismo spinto ad un quasi impercettibile ermetismo. Se ne ha una prima sensazione a partire dalla copertina: un edificio che taglia a metà lo sguardo. Due parti speculari nella struttura, ma con delle subdole differenze nella composizione.
Il primo pezzo, Blume, è tutto un gioco di intenzioni: sullo sfondo di un riverbero metallico, la chitarra prosegue all’infinito sullo stesso accordo, che viene raddoppiato, arricchito, sporcato, fermato e poi rilanciato. Ci sono tanti piccoli elementi che introducono a/estromettono da le sezioni, più evidenti nella parte di batteria, praticamente quasi sommersi dal riff principale nella parte di chitarra. Blume, parola tedesca che significa “fiore”, è anche il titolo di un pezzo degli Einstürzende Neubauten, il cui testo è pieno di metafore e allegorie. In questa analogia, probabilmente, i Malatesta vogliono renderci noti gli elementi principali della loro ragion d’essere: essenzialità, ripetizione, brutalismo.
Il secondo pezzo, Boris, rallenta il tempo, aggiunge degli oscillatori che creano un’atmosfera psichedelica, e contiene il mantra: monkey see, monkey do. Gli urli (di esasperazione?) sono efficaci, ma il finale, specie nel rientro, risulta prevedibile.
Il terzo pezzo, Ferro 17, è un breve garage/stoner d’impatto, costruito su un loop di Carmelo Bene: non si scappa mai dalla catena di montaggio, non si sfugge da alla macchina. Il pezzo è falsamente veloce, in realtà quel che salta all'orecchio è il ritmo monotòno e scattante di un ingranaggio. Venendo al quarto pezzo, Muoia Sansone, ritroviamo di nuovo la stessa ricetta, anche se qui il loop va a fare da disturbo/rumore di sottofondo. Il pezzo è più grezzo (in tutti i sensi) e sembra fatto per “fare casino” e basta. Si sente qua e là qualche urlo che fa da malta al suono e gli switch dei pedali che cliccano. Messi uno dopo l’altro, Ferro 17 e Muoia Sansone risultano un po’ ridondanti, magari una diversa disposizione sarebbe stata più efficace.
Il quinto pezzo, Dun Dun Sun, abbandona le strutture minimali e si presenta in perfetta forma canzone, pertanto risulta meno cervellotico e più godibile, in particolare nella parte centrale.
Il sesto pezzo, Tu Non sei un cavallo, comincia con un estratto di un monologo (in reverse) di Gian Maria Volontè dal celeberrimo film Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, ed infatti il titolo ne rappresenta la sua citazione più famosa. Il pezzo esplode con cowbell, sestine, muri di suono, controtempi, psichedelia, noise. La vera e propria killer track del disco.
In finale, Under my skin, cover di I've Got You Under My Skin, scritta da Cole Porter e resa famosa da Frank Sinatra, è tra tutti il pezzo che più rappresenta la degenerazione a cui fa riferimento il titolo del disco. Mantenendo l’energia del pezzo precedente, la foga messa in questa cover si trasforma in suoni erosi, pattern timpano-cassa martellanti, riverberi che sfumano in lontananza e vengono infine violentemente interrotti.

Entartete Kunst comincia imponendo variazioni di intenzione, più che variazioni tematiche, e termina con tre pezzi uno più viscerale dell’altro. La direzione individuata è interessante, quel che manca è una sezione di canto che indugi meno su urli e mantra scontati ed eviti di ricorrere a citazioni colte messe in loop.

Pezzi preferiti: Tu non sei un cavallo, Under my skin


Luca Sabata
8/10


Articolo ad opera di Giusy Elle

155. L' "Arte degenerata" dei MALATESTA


INTRO
Dopo l'aggiornamento discografico con i NADSAT (qui) e gli ZOLLE (qui), eccoci alla prima presentazione dell'anno di un nuovo duo, ovvero gli Umbri MALATESTA. Una formazione che da subito mi ha incuriosita per l'originale proposta: un mix sperimentale di generi che denota un'ampia conoscenza musicale, da parte dei due, e che nella sua formula personalizzata caratterizza in maniera inconfondibile la produzione della band. Andiamo pure ad approfondire questa nuova e valida realtà del mondo chitarra elettrica-batteria nazionale...


BIOGRAFIA
I Malatesta esistono come duo da poco più di due anni ma i suoi fondatori suonano da ben 25 e, se ascoltate la loro musica, ve ne renderete subito conto. L'idea nasce a Perugia dal batterista Franco Pellicani (classe 1989) che, dopo ben sette anni di progetti solisti, decide di ampliare il più possibile i propri orizzonti musicali: per farlo sceglie come partner Marco Polito ('85), un chitarrista della zona che aveva seguito nella sua carriera musicale e per il quale nutriva una grande stima professionale. Il primo incontro in sala prove risulta soddisfacente e i due si imbarcano in questa nuova avventura: era il settembre del 2015 quando nascono i Malatesta, nome altisonante, di storica memoria, come i rinascimentali Signori di Rimini...

Tra le esperienze di spicco del passato ricordiamo la militanza del chitarrista Polito nei Volvedo
postrock band in italiano che dal 2008 al 2013 era a sua volta un duo chitarra-batteria, mentre ora coltiva un side-project solista a nome Fuzzo Raimi, con il quale ha autoprodotto due album: uno drone/ambient e l'altro dark folk (chitarra acustica e voce).
Franco Pellicani è invece batterista dal 2003, con un passato da quasi metallaro e un'infanzia ad ascoltare jazz e musica cubana; ha comunque sempre preferito suonare musica inedita mentre con lo studio si è fatto un'esperienza ampissima e diversa (rock, metal, jazz, blues, progressive, folk, latin, funk...). La gavetta poi l'ha fatta suonando molto per strada e in varie piccole formazioni, restando l'esperienza più importante quella con gli Heavy Wood (2008-2015, una miscela di generi hard, arrangiamenti variegati e sound folk acustico). Attualmente il mondo della musica è il suo campo d'azione principale, insegnando da un lato e approfondendo lo studio della batteria jazz presso il conservatorio di Perugia dall'altro, lavorando come fonico e organizzando eventi, ma sopratutto dedicandosi alla realtà delle jam session multistile nella propria città, promuovendo l'incontro e la coesione tra i musicisti di diversa estrazione musicale. Ecco, questo è il background culturale che i due trasportano nei Malatesta... e che non li fanno certo passare inosservati! Tra gli eventi importanti a cui hanno partecipato ricordiamo Rockin' Umbria, Sonar Field Fest di Jesi e Humus.

Dal punto di vista discografico il duo debutta nel Gennaio 2017 con un omonimo Ep, estremo e di non facile ascolto: una tirata sperimentale di 14', tra improvvisazione e libera espressione di Polito prevalentemente alle tastiere... Diverso l'album che viene pubblicato, in maniera totalmente autoprodotta, nel Luglio dello stesso anno, Entartete Kunst, dove invece la chitarra campeggia. 30 minuti di ascolto che fanno dei Malatesta un duo unico nel suo genere, anzi, nella miscellanea di generi, tutti ovviamente a loro volta "degenerati"... come da scelta del titolo. 'Entartete Kunst, ossia 'Arte degenerata', era infatti quella epurata dal regime nazista in quanto non espressione dei valori puri della Germania dell'epoca. Marco e Franco ci sbattono così addosso sette tracce molto varie, con momenti di calma che si alternano a furia noise, e che miscelano un sacco di rimandi sonori: Psichedelia, Kraut, Industrial, Math, Doom, Hardcore, Free... tutti generi che fanno parte della mescola e dove unico denominatore resta l'amore per i moduli ripetitivi, quasi mantrici... Un duo minimalista e strumentale, potremmo dire, poichè la voce, quando c'è, è strumento tra gli strumenti, spesso effettata e senza un reale messaggio da convogliare tramite i testi oppure, se c'è, è molto criptico: vedi la penultima traccia, con il testo cantato all'incontrario...

Attualmente i Malatesta sono al lavoro sul secondo album, che anzi uscirà a breve, mentre noi vediamo di approfondire questo interessantissimo e prolifico progetto a due con l'intervista di Marco Polito e Franco Pellicani (che a quanto pare nel mondo dei duo avevano entrambi già fatto qualche incursione), e con la recensione intanto di Entartete Kunst (in un articolo separato), ad opera del nostro collaboratore Luca Sabata, sofisticato batterista di quel duo sperimentale partenopeo, ormai concluso, che si chiamava Karawane...

Link band


INTERVISTA
1. Ciao Malatesta e benvenuti all'Edp. Vorrei partire con una domanda a Franco, visto che è stata sua l'idea di formare un nuovo progetto musicale. Tu da batterista, quando ti sei rivolto a Marco nella veste di chitarrista e tastierista, avevi proprio in mente di realizzare un duo oppure era solo la base per formare una full band?
F. Sinceramente avevo voglia di suonare musica “dura” e Marco sembrava adatto. Abbiamo provato una volta da soli, poi con un bassista, ma abbiamo preferito l’agilità del duo.
M. L’idea di formare il gruppo è stata corale, ci siamo visti in un bar e Franco mi ha proposto una jam cercando di capire se potevamo essere compatibili, così è stato e così sono venuti fuori I Malatesta.

2. Il vostro primo incontro è stato decisivo per constatare la resa in due: come si è svolta quella prima sessione? Improvvisazione pura? Noise o minimalismo?
M. E' stata una lunga improvvisazione su idee più o meno già vaganti in testa da cui poi tramite un lavoro di sintesi sono usciti i primi brani che poi sono andati a finire nell’album.
F. La prima session è stata molto improvvisativa, abbiamo testato alcune idee che aveva Marco; in origine aveva dei testi che leggeva, o urlava, poi abbiamo optato per dei loop vocali come ambiente per alcune idee musicali. Abbiamo iniziato in maniera piuttosto aggressiva, poi abbiamo ampliato molto il linguaggio.

3. L'ep di debutto vede il chitarrista Marco prevalentemente alle tastiere mentre nel full album di pochi mesi dopo è la chitarra a predominare, tanto da considerarvi un duo chitarra-batteria. In quale line-up vi siete assestati al momento? Quanto c'è di elettrico e quanto di elettronico nel vostro set-up?
M. Stiamo diventando sempre più aspri e minimali, fino ad arrivare a composizioni strutturate attorno ad una sola nota, prevalentemente di chitarra, diciamo che l’uso della tastiera è limitato a qualche atmosfera. Nel prossimo lavoro rispetto al primo ci sarà forse una presenza maggiore della mia voce.
F. Di elettronico c’è ben poco per il momento, la tastiera non è un sinth; è quasi un giocattolo, ma così effettata rende bene nel sound complessivo. Siamo 80% un duo chitarra-batteria, con ausilio di tastiera, ma abbiamo anche la voce di Marco, che è molto importante.

4. Marco, tu uscivi già da esperienze in duo chitarra-batteria, quale sono i tuoi accorgimenti per un tale combo? In cosa consiste la tua strumentazione e come hai ovviato alla mancanza di un basso? Ti sei rifatto a soluzioni già adottate da tuoi colleghi?
M. In effetti la prima band che ho avuto, ovvero I Volvedo, nasceva come duo chitarra/batteria quindi ero già “allenato” ad una struttura simile. La mia strumentazione constiste in: un ampli carlsbro valvolare da 120 watts collegato ad una cassa passiva 4x12 e un ampli fender Bxr a transistor da 300 watts. Ho inoltre una chitarra preparata con un’ accordatura specifica e una corda da basso, diciamo che l’assenza del basso non si sente affatto in questo caso. E’ un set up abbastanza personale, non credo di aver preso spunto da qualcuno anche se probabilmente non sono l’unico ad avere questo tipo di set up… credo...

5. Franco, il tuo desiderio primo era proprio quello di arricchire il tuo bagaglio culturale: cosa ti ha dato in più come batterista, e musicista in generale, l'esperienza in un duo chitarra-batteria?
F. La dimensione del duo non mi era nuova; ho collaborato molto con un amico chitarrista di Cortona (Simone Lanari) negli anni passati, in improvvisazione principalmente. Trovo il duo la dimensione ideale per l’improvvisazione più estrema, e anche in composizione il processo si fa più fluido rispetto a organici più ampi. Ho un altro duo, orientato verso il prog/jazz, con cui sto solo componendo per ora, poi pensiamo di ampliare e integrare idee. Come batterista mi ha dato un certo grado di libertà e responsabilità musicale; sono più nudo ma la cosa mi piace.

6. Entartete Kunst è un ottimo disco, una colta miscellanea di generi in una formula ben riuscita. Come avete fatto a confluire in un unico stile il vostro ampio bagaglio musicale?
M. Non è un problema che ci siamo posti altrimenti sarebbe risultato forzato, tutto ciò che suona bene nelle nostre orecchie vale la pena di essere registrato, personalmente vengo anche da quei generi quindi è stato tutto molto involontario, piacevole e senza sforzo.
F. Sicuramente l’elemento unificante è il sound e il fatto che siamo due persone. In ogni musicista convergono influenze diverse, a seconda dell’apertura all’ascolto, poi sta a ognuno trovare la mescola adatta, l’ethos di una specifica ricerca musicale.

7. Nei vostri brani non ci sono veri e propri testi, per cui non si rivela un messaggio specifico da questa fonte. Diversa la scelta del titolo dell'album... 'Entartete Kunst', l' 'Arte degenerata', richiama la censura e il periodo nero del nazismo in Germania: con che valenza avete scelto questo appellattivo per definire la vostra musica?
M. I messaggi ci sono, sono ben celati dietro mantra ripetitivi, l’arte deve essere un pericolo, dovrebbe avere il potere di mettere paura, così fece anche con i nazisti che nella propria ignoranza relegarono nella mostra “entartete kunst” gli artisti che in realtà si rivelarono i più importanti e maggiori rappresentanti della bellezza nel '900.
F. I testi ci sono, ma sono veramente ridotti all’osso!

8. In Umbria, specie a Perugia, esistono altre 2-piece chitarra-elettrica e batteria, ho in mente gli Autunno, i Craving4caffeine, gli storici Black Beauty (a proposito, anche il loro chitarrista Alessio Faccendini organizza eventi in città...) oltre che gli ottimi GueRRRa da Terni. Li conoscete, ci avete suonato assieme, esiste una specie di rapporto di 'comunanza' tra i duo di questa categoria, in regione? O sono le affinità di genere, più che di formazione, ad avvicinare le band?
M. conosco e aprezzo gli Autunno, anche i GueRRRa, pur essendo meno affini ai miei ascolti.
F. degli Autunno conosco, poco, il chitarrista, Filippo; il batterista ancora meno.. sia loro che noi siamo ragazzi schivi. Il chitarrista dei GueRRRa ci ha aiutato col suono al Cimarelli di Terni, e ci ha fatto assaggiare il vino che produce a casa; ai Craving ho fatto da fonico una volta… ecco non credo che ci si interessi molto del discorso duo o non duo, un pò di più sì al genere, ma ancora di più all’approccio alla musica, alla creatività, e se vuoi, all’arte. E’ una questione di pelle, la comunanza.

9. Con che altri power duo avete condiviso il palco?
A memoria con nessuno.

10. Forti di una carriera ventennale e dell'attuale impegno nella vita musicale locale (penso a Franco e al suo ruolo di organizzatore d'eventi), avete l'esperienza per rispondere a questa domanda: come descrivereste l'evoluzione dell'underground nella vostra Umbria e come è cambiato, in generale, il lavoro di musicista?
F. Girando un po' il resto dell’Italia ho notato come in Umbria il livello di competenza e preparazione tecnica sia abbastanza alto; non parlo di turnisti e tributari, ma di gente che crea e che interpreta la musica come preferisce. Essendo una regione piccola e non così ricca, pure collegata un po' male, si ha parecchio tempo e poche distrazioni per far maturare se stessi e i propri progetti. Inoltre non ci sono grandi torte da spartire, non è come Roma, quindi è più naturale non preoccuparsi di piacere al pubblico per avere successo, seguire questo o quel trend ecc. Il “lavoro” di musicista è come nel resto d’Italia, solo con un po' meno opportunità che in altri posti e con meno soldi, ma non è impossibile.
La condizione dell’economia degli anni '90 e '00 ha dato la possibilità a tante band di formarsi, crederci, produrre, andare a suonare in giro per quasi tutta Italia, guadagnandoci pure; se da un lato è stata un'esperienza bellissima (che io non ho vissuto perchè ero troppo giovane), dall’altro ha distolto l’attenzione dall’elemento territoriale. Finita l’ondata, è arrivata la stagnazione economica, in parecchi si sono resi conto che stavano ancora a casa, ma che non si erano mai dati tanto da fare nel creare un bel tessuto sociale-musicale nella regione. Tutt’ora non c’è l’abitudine per chi sta a Perugia di supportare chi sta a Foligno o a Magione... inizia ad essere diverso adesso, ma io personalmente sento ancora l’imprinting della “spartizione territoriale” che esisteva tra le band, e tra le persone, in passato.
A livello musicale comunque sono molto orgoglioso della mia regione, ci sono eccellenze in molti campi, in generi diversi, e margine di crescita. In generale, l’underground, quello degli under35, sta recupernado consapevolezza di sé, dimostra più curiosità e aperura a linguaggi diversi, c’è più collaborazione tra chi organizza eventi e festival e più supporto reciproco fra le band.

11. A breve uscirà il vostro secondo album, cosa ci dobbiamo aspettare? Dall'ep di gennaio 2017 al full album di pochi mesi dopo, ci avete quasi spiazzati, come vivere l'esperienza di una seconda band... Questa tappa discografica sarà ancora qualcosa di diverso? C'è una costante nel mondo dei Malatesta?
M. Sicuramente sarà più “Malato” e con tratti di violenza Sonora superiori al primo, stiamo esplorando un flusso dinamico, senza avere la minima cognizione, né preoccupazione della tempistica che occorre ad arrivare allo svolgimento vero e proprio del pezzo. Questo in parte, ovviamente, altri episodi saranno diretti e totalmente dritti al punto.
F. Il minimalismo compositivo, la ricerca sonora, il lato terapeutico. Esploreremo alcune cose che abbiamo toccato, probabilmente le intensificheremo sotto alcuni aspetti, ad esempio minimizzando ancora di più la composizione, o aumentando i colori o lo spessore del tratto, o intricando il linguaggio, dipende dal brano... non siamo ancora sicuri del trait d’union del prossimo disco, ma verrà naturale.

12. A proposito di Malatesta... ancora non vi ho chiesto l'origine del nome!
M. Il nome in parte deriva dal gioco di parole ovvio che porta con sé questo nome. Dall’altra parte, quella più razionale, è ispirato a Enrico Malatesta, teorico anarchico morto a Roma il 22 Luglio 1932 e nato a Santa Maria Capua il 14 Dicembre 1853.

Grazie Marco e Franco per la vostra compagnia e il cortese contributo. Attendiamo con piacere la seconda prova sulla lunga distanza. Sono convinta che ci farete ancora stupire positivamente...
Grazie a te Giusy, apprezziamo davvero l’attenzione e la gentilezza che ci hai dedicato. A presto.


DISCOGRAFIA
ENTARTETE KUNST 2017, Autoprodotto (Sperimentale)

1.Blume 2.Boris 3.Ferro17 4.Muoia Sansone 5.Dun Dun Sun 6.Tu non sei un cavallo 7.Under my Skin



Qui la nostra recensione


MALATESTA 2017, Autoprodotto (Sperimentale)

1.Malatesta (14:00)










Link ad altre recensioni



Articolo e intervista ad opera di Giusy Elle