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martedì 6 marzo 2018

156. RECENSIONE50: Entartete Kunst by Malatesta




I MALATESTA sono un duo nato a fine 2015 dalla maestria di due validi musicisti perugini, (Marco Polito alla chitarra e voce e Franco Pellicani alla batteria) i cui background vari e colti, espressi dapprima in jam session, sfociano infine in una serie di brani multistile. Nel loro Entartete Kunst, Lp dell'estate 2017, potrete trovare rimembranze di Kraut e Industrial, Hardcore e approccio Free, Doom e quadrature Math, il tutto venato di Psichedelia e interventi noise. Del resto la jam multistile è una passione per il batterista Pellicani, tanto da organizzare, nella sua Perugia, serate a tema.

Il minimalismo è però ciò che contraddistingue maggiormente questo duo, non soltanto nella scelta della formazione o nella grafica che li rappresenta ma anche e soprattutto nell'approccio stilistico: le note sono poche, tutto ruota attorno a riff mantricamente ripetuti mentre l'effetto psichedelico è assicurato. Il minimalismo stilistico è una qualità che intendono incentivare, come svelato nell'intervista Edp appena pubblicata (qui), visto che il nuovo disco, di prossima pubblicazione, volge ulteriormente in questo senso. Diversa era invece l'atmosfera del primissimo Ep dove un'unica lunga traccia li ritraeva in una ricca jam con il chitarrista alle tastiere.

Vi lasciamo all'ascolto di Entartete Kunst, una chicca per esperti, e alla sua approfondita recensione da parte del nostro collaboratore Luca Sabata, batterista dell'ex duo sperimentale partenopeo Karawane. Buon ascolto e buona lettura da noi dell'Edp.

Contatti Band:

Entartete Kunst credits:
Composto e suonato da Marco Polito (Chitarra, voce, tastiere) e Franco Pellicani (Batteria)
Registrato presso Rokkaforte Studio di Castiglione del Lago (PG) da Matteo Burico e Enrico Giovagnola (Ottobre 2016)
Mixaggio: Malatesta, Matteo Burico e Enrico Giovagnola
Mastering: Franco Pellicani
Foto e Artwork: Ilaria Catrana
Pubblicazione: 21 Luglio 2017
Formato: Cd e digitale


Qui lo ascolti

ENTARTETE KUNST 2017
Autoprodotto (Sperimentale, Psichedelia, Noise)

1. Blume
2. Boris
3. Ferro17
4. Muoia Sansone
5. Dun Dun Sun
6. Tu non sei un cavallo
7. Under my Skin


RECENSIONE
MALATESTA "Entaretete Kunst"
Lp 2017 Autoprodotto

È difficile recensire un disco come questo, dove la dimensione duo si espande in una forma di dualismo che contrappone l’apparenza di un minimalismo spinto ad un quasi impercettibile ermetismo. Se ne ha una prima sensazione a partire dalla copertina: un edificio che taglia a metà lo sguardo. Due parti speculari nella struttura, ma con delle subdole differenze nella composizione.
Il primo pezzo, Blume, è tutto un gioco di intenzioni: sullo sfondo di un riverbero metallico, la chitarra prosegue all’infinito sullo stesso accordo, che viene raddoppiato, arricchito, sporcato, fermato e poi rilanciato. Ci sono tanti piccoli elementi che introducono a/estromettono da le sezioni, più evidenti nella parte di batteria, praticamente quasi sommersi dal riff principale nella parte di chitarra. Blume, parola tedesca che significa “fiore”, è anche il titolo di un pezzo degli Einstürzende Neubauten, il cui testo è pieno di metafore e allegorie. In questa analogia, probabilmente, i Malatesta vogliono renderci noti gli elementi principali della loro ragion d’essere: essenzialità, ripetizione, brutalismo.
Il secondo pezzo, Boris, rallenta il tempo, aggiunge degli oscillatori che creano un’atmosfera psichedelica, e contiene il mantra: monkey see, monkey do. Gli urli (di esasperazione?) sono efficaci, ma il finale, specie nel rientro, risulta prevedibile.
Il terzo pezzo, Ferro 17, è un breve garage/stoner d’impatto, costruito su un loop di Carmelo Bene: non si scappa mai dalla catena di montaggio, non si sfugge da alla macchina. Il pezzo è falsamente veloce, in realtà quel che salta all'orecchio è il ritmo monotòno e scattante di un ingranaggio. Venendo al quarto pezzo, Muoia Sansone, ritroviamo di nuovo la stessa ricetta, anche se qui il loop va a fare da disturbo/rumore di sottofondo. Il pezzo è più grezzo (in tutti i sensi) e sembra fatto per “fare casino” e basta. Si sente qua e là qualche urlo che fa da malta al suono e gli switch dei pedali che cliccano. Messi uno dopo l’altro, Ferro 17 e Muoia Sansone risultano un po’ ridondanti, magari una diversa disposizione sarebbe stata più efficace.
Il quinto pezzo, Dun Dun Sun, abbandona le strutture minimali e si presenta in perfetta forma canzone, pertanto risulta meno cervellotico e più godibile, in particolare nella parte centrale.
Il sesto pezzo, Tu Non sei un cavallo, comincia con un estratto di un monologo (in reverse) di Gian Maria Volontè dal celeberrimo film Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, ed infatti il titolo ne rappresenta la sua citazione più famosa. Il pezzo esplode con cowbell, sestine, muri di suono, controtempi, psichedelia, noise. La vera e propria killer track del disco.
In finale, Under my skin, cover di I've Got You Under My Skin, scritta da Cole Porter e resa famosa da Frank Sinatra, è tra tutti il pezzo che più rappresenta la degenerazione a cui fa riferimento il titolo del disco. Mantenendo l’energia del pezzo precedente, la foga messa in questa cover si trasforma in suoni erosi, pattern timpano-cassa martellanti, riverberi che sfumano in lontananza e vengono infine violentemente interrotti.

Entartete Kunst comincia imponendo variazioni di intenzione, più che variazioni tematiche, e termina con tre pezzi uno più viscerale dell’altro. La direzione individuata è interessante, quel che manca è una sezione di canto che indugi meno su urli e mantra scontati ed eviti di ricorrere a citazioni colte messe in loop.

Pezzi preferiti: Tu non sei un cavallo, Under my skin


Luca Sabata
8/10


Articolo ad opera di Giusy Elle

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