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martedì 31 maggio 2016

106. RECENSIONE28: Fibonacci by Globetrotter

LISTA RECENSIONI 


   Dopo l'articolo di presentazione del duo Globetrotter (Benevento 2009) e l'intervista con i suoi fondatori (Giovanni Nazzaro e Danilo 'Damage' Peccerella) eccoci pronti a parlare di Fibonacci, il loro secondo album in studio. Un 7 pezzi per 24 minuti d'ascolto registrato in presa diretta presso The Jack Studio di Napoli ed edito, mixato e masterizzato nel medesimo studio di Benevento. Artwork ad opera di Romano "Malaciort" Monero del duo basso-batteria trentino Atacama Death Experience.
   Come l'omonimo album di debutto ci ritroviamo nel genere math-rock/math-core, ma questo solo per inquadrare in maniera generica lo sfondo dove i due sviluppano il proprio paesaggio sonoro fatto di divagazioni sperimentali. Giovanni nasce come chitarrista rock e metal ma nel corso del suo interessante iter di studi si appassiona sempre più a tutto ciò che è sperimentale e alternativo; anche Danilo, il suo compare alle pelli, ha suonato in numerose band dai generi più svariati e questa epserienza 'a ventaglio' gli permette di affiancare in maniera sciolta e competente i frequenti cambi di genere e stile proposti dal partner. In realtà il duo nasce proprio per questo, per conforntarsi e creare qualcosa di nuovo a partire dal bagaglio culturale raccolto nella carriera dei due musicisti.
   Fibonacci è quindi un album vario che ci propone spunti sonori derivanti dal metal e dal jazz, dal prog come dalla psichedelia, ma vi troviamo anche il funk, la noise, la fusion... non soltanto ogni brano risulta quindi diverso dall'altro ma anche ogni singola traccia ci propone spunti di matrice diversa, in repentini cambi di genere e stile. La tecnica di entrambi è sopraffine e il risultato è un album che scorre via piacevolmente, mitigato nella freddezza pura del genere math-rock.
   Ma scendiamo nei particolari di Fibonacci grazie all'analisi approfondita di Luca Sabata, recensore partenopeo e batterista del duo sperimentale KARAWANE.


Video:


Ascolto integrale di Fibonacci

Contatti:


FIBONACCI 2014, Autoprodotto (MathRock, Jazzcore, Sperimentale)
1.Taurina
2.Untore
3.Pachiderma
4.P___skip
5.The March of left-handed butterflies
6.Boaka
7.King Cococock


RECENSIONE
GLOBEROTTER
FIBONACCI (Autoprodotto, 2015)
Genere: math rock, sperimentale
Voto: 6,5/10

Essendo un album dall’etichetta math rock ma dall’essenza sperimentale, per entrare nel mood giusto voglio sperimentare anch’io e impostare la recensione come se fosse la trascrizione diretta del mio flusso di coscienza.

Nero e tinte di blu. La spirale di Fibonacci e il triangolo di Tartaglia. Design spartano che sembra solo un pretesto per ricalcare il nome del cd e fargli da contenitore. Come per dire: niente fronzoli, veniamo al sodo. Avvio l’ascolto, l’intuizione era giusta; Taurina, il primo pezzo, è fatto per galvanizzare, mette subito in mostra i muscoli. Dopo una rapida introduzione, esplode con una chitarra aggressiva. Un riff che a tratti mi ricorda persino il modo di fare degli Iron Maiden. Cambio di sezione. Dal metal classico a quello neoclassico. Un interessante intermezzo che comincia scarno, in palm muting, e poi acquista corpo in distorsione. Ancora un cambio sezione. Dal metal neoclassico a Larks’ Tongues in Aspic part two, un pezzo che da solo ha influenzato generazioni di musicisti. Assolo da shredder, poi corposi power chord inframezzati da un tremolo picking che mi ricorda i Rage Against The Machine. E una fine, a singhiozzi, in cui viene ripreso il primo riff. Il suono della chitarra è molto elaborato, e si sente: durante tutto il pezzo assume mille sfaccettature, ognuna pensata esclusivamente per la sezione in cui si trova. Un dettaglio che apprezzo molto. Comincia il secondo pezzo, Untore. Siamo sul jazzcore, qui le chiusure di riff si fanno ripetitive, sembra un nastro che s’incanta per qualche attimo. Secondo giro. La batteria mi appare troppo statica, ci sarebbe stato meglio un pattern latino, con la clave anziché il rullante. Improvvisamente comincia una nuova parte. Batteria in quattro, hi-hat aperto al massimo, accordi storti. L’idea è ottima, peccato però che sia molto simile al ritornello di Tuzz degli Arduo. È interessante notare che due gruppi math rock siano giunti alla stessa idea indipendentemente; in matematica questo succede spesso. Ad esempio, mi viene in mente il teorema delle contrazioni. Torniamo al pezzo. La sezione centrale termina e si chiude riprendendo di nuovo il riff iniziale. Ogni riga del triangolo di Tartaglia finisce così come comincia. Terzo pezzo, Pachiderma. Molto bello l’incastro tra lo slapping della chitarra e la batteria che prima lo accompagna e poi va in sestine. Immagino un grosso elefante africano, che a tratti marcia, a tratti barrisce infuriato. Segue una breve struttura che richiama Untore. L’oscuro ambientale nella seconda strofa non mi convince: ha un suono glaciale, del tutto estraneo all’atmosfera in cui viene inserito. È come se l’elefante passasse improvvisamente per una tundra. Buona la parte simil-samba, specie per le percussioni in secondo piano. In finale una sezione molto aperta, fatta apposta per spiazzare l’ascoltatore, e di nuovo la struttura alla Untore. Quarto pezzo, P___Skip. O meglio, un intermezzo. Il Predictive frame skipping è una efficiente modalità di codifica video, tramite la quale i dati meno significativi vengono scartati per preservare quelli più rilevanti. Delay, reverse, annunci radiofonici, tra cui persino uno in russo. Sono i frammenti più importanti di esperienze passate. I ragazzi devono aver suonato anche a migliaia di chilometri lontani da casa. In effetti, Globetrotter significa proprio giramondo. Quinto pezzo, The March Of Left-Handed Butterflies. Come in Taurina, una breve introduzione anche qui, per subito passare ad un bel riff corposo di chitarra. La distorsione ha un suono fantastico. Ma a differenza della prima traccia, le atmosfere si fanno poi delicate e vagamente dolci. Il math lascia spazio al progressive. Ci sono molte sezioni in pieno stile Canterbury, in particolare alcuni elementi mi ricordano la seconda parte di Cocomelastico dei Picchio dal Pozzo. In sottofondo si sentono estratti di un discorso; nell’ultimo riconosco una citazione del Dalai Lama. Nel finale, che prima di chiudere fa una finta, si riprende il riff post-introduzione, così come avviene nell’arrangiamento di Pachiderma. Sesto pezzo, Boaka. L’atmosfera iniziale non si distacca molto dal pezzo precedente, poi con qualche intermittenza il pezzo transita in un arpeggio di chitarra seguito quasi all’unisono dalla batteria. Ma non c’è abbastanza potenza, e il fatto che la batteria si limiti a seguire non dà il giusto impatto. Nelle parti successive tornano le influenze metal e c’è il secondo assolo da shredder, accompagnato da un pattern fisso di doppio pedale che però risulta poco efficace. Settimo ed ultimo pezzo, King Cococock. Essenzialmente un brano in due fasi: la prima è uno slap/pop che ricorda Tony Levin; la seconda ha arpeggi e accordi che ricordano invece Robert Fripp. Insomma, ancora King Crimson, ma stavolta nella formazione anni ‘80. Il pezzo si chiude con una fugace sezione drone noise, la cui dissolvenza viene interrotta da un taglio troppo brusco di editing.

In sostanza, l’album sale di qualità fino a raggiungere il picco con The March Of Left-Handed Butteflies, di gran lunga il pezzo migliore. Di lì in poi c’è un calo impressionante, che influenza significativamente il mio giudizio finale. In particolare, l’ultimo pezzo sembra più una sequenza di esercizi crimsoniani che altro: tecnicamente belli, ma musicalmente sterili.

La preparazione tecnica di Giovanni Nazzaro è notevole, ma in questo disco ha dato dimostrazione di essere troppo legato alle sue influenze. La sua sperimentazione deve transitare dal semplice testare le abilità acquisite alla ricerca del proprio stile. Danilo Peccerella invece l’ho trovato un po’ timido: ci sono molte occasioni nel disco in cui avrebbe potuto osare di più, sia nelle dinamiche che nelle idee. Trovo che l’idea di suonare all’unisono con lo strumento duale funzioni poco. In futuro vorrei sentirlo accompagnare di meno la chitarra, e creare soluzioni più interessanti, come nella prima sezione di Pachiderma. Per quanto riguarda il progetto in generale, credo che la direzione più originale sia quella post/progressive individuata nella parte centrale del disco; perseguendola potrebbero anche avvicinarsi alle sonorità ancora più sperimentali del progetto solista di Giovanni ed esplorare territori più nuovi, anziché battere le solite, tortuose strade del math.



Pezzo preferito: The March Of Left-Handed Butteflies.

Luca Sabata



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