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Quando l'Acqua incontra la Musica
E' da tempo che volevo iniziare una sezione dedicata al blues,
visto che in campo nazionale ci sono duo elettrici molto interessanti
in questo settore. E' arrivata finalmente l'ora di aprire le danze, e
cosa di meglio che farlo con un amico (anche se solo "in rete")
di vecchia data come Bob Cillo? L'occasione l'uscita del suo ultimo
album "A Place for Loitering" in esclusiva edizione su
vinile, che ci verrà presentato nei particolari dal nostro nuovo
recensore EDP, Marsuel Papel (qui la recensione e qui la
presentazione dello staff).
Bob Cillo non è certo una giovane leva dell'underground (classe
1969) ma uno che la gavetta se l'è fatta da molto tempo e che ora
nel campo musicale suona e ci lavora. La formazione dei DIRTY
TRAINLOAD è molto dinamica, sempre in bilico tra one-man band e duo.
L'idea nasce infatti nel 2006 quando Bob, chitarrista barese di
formazione blues, insoddisfatto delle collaborazioni fino ad allora
intraprese, avvia il suo progetto da solista. Avendo qualche problema
col canto, si autodefiniva, in maniera del tutto ironica, un
"half-man band"... mentre la sua strumentazione
comprendeva, oltre ovviamente alla chitarra, una loop station e
vecchie drum machine.
Tornato in Puglia da Roma il cantante armonicista Marco del Noce,
con il quale il nostro "tuttofare" aveva già collaborato
in precedenza, si appassiona al progetto di Bob e i due uniscono le
proprie forze sfornando in pochi mesi "Rising Rust" (Side 4
Records), il loro album di debutto, con la sapiente produzione di
Fabio Magistrali. Eccoci quindi di fronte alla prima formazione a
due, anche se non ancora nella versione da noi tanto amata di
chitarra e batteria. La musica proposta è ovviamente di matrice
blues (Bob è da sempre stato ispirato dalla "scuola" della
label americana Fat Possum) ma intraprende una strada creativa
assolutamente personale; personalissimo è anche il sound,
caratterizzato, come si diceva, dall’uso di loop, di vecchie drum
machine analogiche e contaminato da una propensione lo-fi derivante
da ambienti alternative e garage-punk: un “progressive” blues,
“contaminato” e sporco, ma viscerale e autentico nello spirito.
Ricevuti
ottimi riscontri dalla stampa, anche internazionale, i due si
impegnano in un’intensa attività live intraprendendo tour che li
portano nelle principali città Italiane e in molte altre europee tra
cui Zurigo, Berlino, Londra, Brighton, Parigi-Beauvais e Copenhagen;
in Inghilterra registrano due session per il radio show-podcast
americano Breakthru Radio.
Da qui in poi il Treno Merci di Bob vede avvicendarsi alla batteria
diversi personaggi mentre lo stesso Bob, superato l'ostacolo del
canto, tra una formazione e l'altra si esibisce come one-man band.
L'accoppiata più longeva (tre anni) inizia nel 2009 con Livia
Monteleone, line-up con la quale ho avuto modo di conoscere i Dirty.
Livia è di orgine pugliese e conosceva Bob da molti anni; trasferita
in California fin da ragazzina, acquisisce cittadinanza americana, ma
i due restano sempre in contatto. A lei era piaciuto molto l'album
“Rising Rust” e Bob ammirava da sempre il suo straordinario
talento di cantante, compositrice e poli-strumentista per cui, quando
Marco lo lasciò orfano di metà band, fu una cosa spontanea pensare
a Livia quale nuova band-mate. Livia, come si diceva, è
polistrumentista, e pur non essendo una batterista canonica oltra a
cantare si esibisce su un drum set molto minimalista: suona in piedi
la grancassa e il charleston mentre con le mani libere si avvicenda
al banjo, alla chitarra baritona, come può suonare tanto l'armonica
che percussioni varie... quanto basta però per definire finalmente i
Dirty Trainload una 2-piece chitarra-batteria... I due approdano
negli USA esibendosi in California, a Chicago e al prestigioso Deep
Blues Festival di Minneapolis. Frutto di questa collaborazione a
quattro mani è infine l’album "Trashtown" (Otium-CNI)
del 2011, sempre con produzione di Fabio Magistrali.
Dopo la defezione di Livia, Bob suona nuovamente come one-man e
nel contempo prepara brani per il successivo album; sente però la
mancanza della dinamica e della profondità di una batteria vera e
propria quindi si avvale dell'aiuto di Go Balzano ('85) per la
registrazione del nuovo album "A Place for Loitering", di
recentissima uscita e pubblicato solo in vinile. La caratteristica di
Balzano è quella di essere riuscito a sviluppare una tecnica
singolare in grado di suonare in sync con i loop ritmici delle
vecchie rhythm-box di Bob. Balzano è coproduttore dell'album e
membro a tutti gli effetti dei Dirty Trainload, che ora vengono
alimentati da questo nuovo macchinista... Per concludere diciamo che
Bob per lavoro realizza video professionali ed è titolare dello
studio di produzione audiovisivi TV EYE di Bari.
Possiamo passare quindi, ora, alla piacevole chiaccherata col
nostro bluesman per vedere assieme cosa ha da dirci sulla sua ricerca
sonora, sul suo concetto di duo e molto, molto altro ancora. A voi la
colta intervista con Bob Cillo dei Dirty Trainload!
VIDEO (di brani non presenti negli album dei DT. Frutto di una session di
registrazione con Antonio Marino, batterista del duo elettrico
campano MAYBE I'M, session da cui è tratto anche il brano "The
Futty Arbuckle Scandal" presente nella nostra compilation
freedownload EDP Vol.1):
"Commit a Crime" (Howlin' Wolf Cover)https://www.youtube.com/watch?v=tcyYgHkU3as
"Special Rider Blues" (Skip James) https://www.youtube.com/watch?v=5Sb5AEB2Cp0
Video demo di presentazione all'ultimo albumhttps://www.youtube.com/watch?v=7pYtfCQA5QE
QUI la nostra recensione all'ultimo album "A Place for Loitering"
INTERVISTA
1. Eccoci finalmente qui Bob, dopo tanti anni
di contatti via mail finalmente ti presento all'EDP intero. Iniziamo
con il chiederti quando ti sei approcciato alla chitarra e come ti
sei appassionato alla musica blues, nello specifico quella
dell'etichetta Fat Possum.
Ho avuto una specie di imprinting blues: quando avevo otto o nove
anni mio fratello maggiore portò in casa un’audiocassetta di Big
Bill Broonzy di cui mi innamorai; cercavo di riprodurre quello stile
chitarristico incredibile con gli scarsissimi mezzi di un bambino che
strimpellava i primi accordi basilari su un rottame di chitarrina
classica. All’età di dodici anni scoprì un’altra cassetta di
mio fratello, Rock’n’Roll Animal di Lou Reed e allora venni
folgorato in maniera irreversibile dal rock’n’roll. Nel mio
percorso di musicista, negli anni, mi è venuto spontaneo cercare di
trovare un punto d’incontro tra i due mondi paralleli da cui ero
fortemente attratto, il blues delle radici che è sempre rimasto nel
mio cuore, e il rock dallo spirito anarchico, trasgressivo e
irriverente di band come Velvet Underground, Stooges, New York Dolls,
etc. Le produzioni Fat Possum sono arrivate in tempi relativamente
più recenti e sembravano alimentare la mia ricerca musicale con
nuova linfa vitale; finalmente potevo ascoltare un “nuovo blues”,
suonato con l’approccio e l’attitudine “proto-punk” che avevo
sempre ammirato in maestri come Hound Dog Taylor.
2. I Dirty Trainload nascono da principio come
one-man band (e negli anni si ripropone, tra una formazione a due e
l'altra) per cui hai dovuto ricercare un tuo modo di suonare più
strumenti. Vediamo spesso chitarristi che con i piedi suonano
grancassa e charleston e, specie se blues, aggiungono pure l'armonica
a bocca. Tu invece ti sei avvalso di apparecchiature elettroniche,
seppure di origine vintage: ci racconti come hai raggiunto questo
suono?
Come tu dici giustamente, cercavo una soluzione personale, una strada
diversa da qualunque altra. Acquistai una loop station senza sapere
cosa ci avrei fatto e come prima cosa cancellai tutti i preset di
fabbrica. Pensai di costruire l’ossatura ritmica dei brani con
alcune vecchie “rhythm box” analogiche, come quelle che si
usavano con i vecchi organi. E’ un’elettronica grezza, dallo
spirito rock’n’roll, nulla a che vedere con le meline luminose.
L’uso dei loop comunque non mi impedisce di suonare ogni tanto
l’armonica e di utilizzare una percussione con un pedale di
grancassa.
Credo che questa idea abbia le radici in uno straordinario concerto
di Alan Vega che vidi a metà degli anni ’80. Alan era accompagnato
solo da un chitarrista elettrico e da una rudimentale drum machine ma
il risultato era assolutamente devastante. Penso che quel concerto mi
abbia fortemente ispirato, fondamentalmente decisi di portare le drum
machine di Alan Vega e dei Suicide nel blues. Devo anche citare un
concerto di Hugo Race del 1993, la prima volta che vidi suonare una
loop station in modo interessante, lui suonava da solo creando una
sorta di roots blues post-moderno. Alla base di tutto c’è l’idea
che le rhythm box analogiche abbiano una forte analogia con lo stomp
primitivo e minimale delle vecchie registrazioni di John Lee Hooker.
3. In duo non hai mai abbandonato l'uso della
tua vecchia drum machine, pur avendo una semi-batteria come quella di
Livia o il set intero dell'attuale compagno di viaggio Go Balzano.
Come mai questa scelta? E quali gli escamotage dei tuoi batteristi
per inglobare tutti i suoni e amalgamarli al loro drum set?
Per quanto mi riguarda ho iniziato ad usare vecchie drum machine per
la voglia di adottare soluzioni nuove e di battere strade inconsuete,
piuttosto che uniformarmi a seguire vie più comode; in secondo luogo
le rhythm box costituiscono l’impalcatura su cui posso costruire i
loop di chitarra, anche in presenza di un batterista. Il lavoro di Go
Balzano e degli altri batteristi con cui ho collaborato in passato,
non è affatto semplice; consiste nell’integrare in perfetto
sincrono la ritmica acustica ai pattern
elettronici. Ciò comporta una serie di problemi sia di ordine sonoro
che ritmico. Naturalmente la drum machine non va intesa come un mero
surrogato della batteria tradizionale ma ha un suo spazio ben
definito nel sound della band. La batteria deve rispettare lo spazio
della drum machine sperimentando sonorità insolite che vadano a
differenziarsi il più possibile dai loop.
In una rock band tradizionale un buon batterista riveste il ruolo di
“ruota motrice” mentre in Dirty Trainload la batteria ha l’arduo
compito di aggiungere calore, dinamica, carica e feeling ai loop
elettronici e al contempo mantenere il ritmo metronomico, senza
lasciarsi tentare da accelerazioni. Per fare tutto ciò su un palco è
indispensabile un buon sound check. Nel nostro repertorio c’è
comunque qualche brano che suoniamo senza né loop né drum machine,
è il caso ad esempio di “The Ballad of John Hardy”, presente sul
nostro ultimo album.
4. So che con Livia, polistrumentista, avete
lavorato molto per trovare il sound giusto, ci racconti qualcosa di
quel periodo?
Livia è una grande musicista, creativa, attenta e scrupolosa; riesce
a districarsi con naturalezza e disinvoltura tra percussioni di varia
natura, chitarra baritona, banjo e canto. Per me è stato un grande
onore collaborare con lei, insieme formavamo una coppia davvero
stacanovista, avevamo la determinatezza di rimanere rinchiusi in sala
prove per ore. Naturalmente questa nostra dedizione al progetto ha
portato i suoi frutti: “Trashtown”, l’album che abbiamo
realizzato a quattro mani, è caratterizzato da un suono molto fresco
e personale. Sono convinto che una band per funzionare debba
trascorrere molto tempo in sala prove, non esistono scorciatoie.
Livia e Bob |
5.
Con Livia i Dirty sono sbarcati nel Nuovo Continente, finalmente il
bluesman nostrano approda nella terra d'origine della musica che
suona. Com'è stata, nell'insieme, quell'esperienza? In cosa ti ha
arricchito?
Abbiamo riscosso apprezzamenti e raccolto grandi soddisfazioni,
abbiamo suonato fianco a fianco con alcuni dei musicisti che più
ammiro al mondo. Viaggiare per suonare ed incontrare un pubblico
nuovo, interessato ad ascoltarmi, è la più grande gratificazione
che ricavo dalla mia attività musicale.
6. Sia da solo che in coppia i Dirty hanno
calcato palchi di tutta Europa, oltre che quelli d'oltre Oceano: hai
riscontrato diversità tra il pubblico nazionale e quello straniero?
Non amo, da musicista, esprimere valutazioni sul pubblico; credo che
se un live non funziona è quasi sempre responsabilità di chi suona.
Ogni pubblico reagisce alla musica in modo differente, probabilmente
esiste un po’ di retorica quando si parla di “pubblico freddo”
e di “poveri musicisti geniali incompresi”. Suoniamo in luoghi
che sono il nostro habitat naturale come festival, sale da concerto e
centri sociali e ci è capitato anche di suonare alle 4 di pomeriggio
in un giardinetto affianco ad una giostra per bambini: ogni
esperienza diversa è una sfida che il musicista deve imparare a
gestire e a volgere in positivo, per quanto possibile. Suonare
davanti a cinque persone o in una piazza gremita non deve avere
alcuna rilevanza ai fini della performance.
E’ pur vero che da spettatore ho riscontrato, ad esempio, che il
pubblico britannico è generalmente più attento e preparato del
nostro, mi sono trovato nella condizione di dover spiegare a qualche
amico musicista inglese: “non prenderla personalmente, l’audience
italiana è spesso distratta e rumorosa”.
7. Tra one-man, duo e full-band, possiamo dire
che hai sperimentato tutte le formazioni possibili per una band;
quali i pro e i contro di ognuna?
Suonare come one man band è una sfida molto stimolante: occorre
liberare da soli l’energia di una band al completo, sia in termini
di presenza sulla scena che di impatto sonoro. Un one man band è
potenzialmente più produttivo perché le idee nascono velocemente e
tutte le decisioni possono essere prese con rapidità, senza dover
superare il vaglio degli altri componenti della band. E’ possibile
salire su un palco e seguire l’onda emotiva del momento senza dover
necessariamente seguire una scaletta predefinita: si può far durare
un brano il doppio del tempo oppure interromperlo nel bel mezzo e nel
preciso istante in cui ti gira in testa: tutto avviene in modo più
puro, senza compromessi. Per le prove ci vuole autodisciplina, che io
non sempre riesco ad impormi. In alcune situazioni viaggiare soli ed
aspettare di salire su un palco in solitudine può avere una vena un
po’ malinconica. Al contrario, viaggiare con una band al completo è
un divertimento, quando si hanno i giusti compagni di cordata si
trascorre insieme del gran “good time”. Esibirsi è più semplice
perché basta avere consapevolezza del proprio ruolo e ogni membro
della band fa la sua parte che concorre alla riuscita della
performance. Talora però il processo creativo può diventare di una
lentezza esasperante, per la difficoltà di mettere d’accordo più
teste e di dover fare i conti con diverse esigenze personali. La
formazione in duo è una sanissima via di mezzo: doversi relazionare
con un compagno di band sviluppa un’interazione virtuosa che
arricchisce il processo creativo senza appesantirlo ed il lavoro
rimane più agile, snello e dinamico rispetto a quello di una band al
completo. Splendida analisi...
C’è da aggiungere che praticamente trasporto sempre la stessa
strumentazione di una full band anche quando suoniamo in due o sono
solo, il che implica lo svantaggio di doversi far carico di qualche
quintale di backline!
8. Come vedi l'attuale panorama della musica
blues qui in Italia? Ricordiamo che c'è blues e blues, quello fedele
alle origini, il Delta blues, come quello più rude di stampo garage,
a te più affine...
Sicuramente sul territorio nazionale abbiamo delle eccellenze, mi
vengono in mente ad esempio Angelo “Leadbelly” Rossi o i Blue
Stuff di Mario Insegna. Ci sono anche ottime band a noi
geograficamente vicine, in Puglia, Calabria e Basilicata. Purtroppo
però devo dire che il panorama blues nazionale è piuttosto
squallido. Generalmente in Italia si ascolta un blues slavato,
asettico, edulcorato, noioso e scolastico, emulo improbabile di
modelli e cliché inflazionati. Ci sono troppe cover band, ma questo
vale anche per gli altri generi musicali. In USA o in UK, il livello
generale è enormemente più alto, questo è comprensibile, sono i
paesi che raccolgono direttamente l’eredità culturale del blues.
Proprio perché non possiamo competere con loro, dobbiamo cercare un
linguaggio personale, una strada alternativa in cui trovi posto la
nostra sensibilità, un po’ come hanno fatto i musicisti africani;
solo a queste condizioni il nostro blues diventerà “esportabile”
e potrà essere apprezzato dal pubblico di tutto il mondo.
Naturalmente ci sono anche ottimi progetti a noi concettualmente più
vicini, come tu dici, caratterizzati da un blues più “deviato” e
personale. Solo per citare i primi nomi che mi vengono in mente, di
recente ho ascoltato ottimi album prodotti dal one man band romano
Gianni, The Blues Against Youth, dal duo Alice Tambourine Lover da
Bologna e dal duo campano Maybe I’m, con cui abbiamo anche avuto
occasione di collaborare.
Bob e Go Balzano |
9. Parlaci del tuo nuovo album
“A Place for Loitering”,
come sono nati i brani, come l'incontro col nuovo batterista?
Proseguire la collaborazione con Livia, con un oceano di mezzo e una
distanza intercontinentale da ricoprire, purtroppo era divenuto
troppo impegnativo per entrambi. Ciò mi ha dato lo stimolo a
compiere il passo definitivo per agguantare il microfono e iniziare a
cantare, ho cominciato ad esibirmi da one man band con maggiore
assiduità e convinzione rispetto al passato ed ho creato un
repertorio completamente nuovo. Durante il “periodo di rodaggio”
ho fatto una session di registrazione con la collaborazione di
Antonio Marino, batterista di Maybe I’m, da cui sono nati i video
clip “Commit a Crime” e “Special Rider Blues” ed il brano
“The Fatty Arbuckle Scandal”, che compare sulla compilation EDP
Vol.1, ed è stato originariamente prodotto per la compilation che
celebra la cinquantesima release della Lepers Produtcions. Tutto era
ormai pronto per la registrazione di un nuovo album. Il materiale era
stato concepito in assetto da one man band ma desideravo portare su
disco maggiore dinamica e profondità di quella che avrei potuto
ottenere con le sole rhythm box. Go Balzano è un batterista barese
di estrazione rock’n’roll, collaboravamo già in un side project,
gli proposi di saltare sul carro e così i Dirty Trainload sono
tornati ad essere un duo. Balzano è un grande amico, una persona con
un carattere eccezionale, ha profuso notevole impegno per la
registrazione e si è offerto di co-produrre l’album. La produzione
artistica è come sempre opera di Fabio Magistrali, anche lui grande
amico e probabilmente da considerarsi da sempre “terzo membro
occulto” della band. I brani parlano per lo più di amori
impossibili e di città invivibili, tema già ricorrente nel
precedente album; città dove non è ammesso soffermarsi in attività
non produttive (“loitering”). Questa immagine è rappresentata
dall’illustrazione di Benjamin Guedel di Zurigo, anche lui ormai da
anni un assiduo collaboratore di Dirty Trainload.
10. Come mai avete deciso per la stampa su
vinile?
Da ragazzo il mio amore per la musica trovava sfogo nell’acquisto
di questi oggetti stupendi che sono i dischi in vinile. Dopo aver
attraversato l’era del CD, in un momento in cui il jewel box appare
in netto declino e la musica sembra definitivamente “smaterializzata”
nella rete, ci è venuto spontaneo tornare a guardare al vinile,
inteso come “oggetto da desiderare” e supporto tangibile ideale a
contenere e rappresentare la nostra musica. Con mia sorpresa ho
scoperto anche che la compressione, la ridotta dinamica e la gamma di
frequenze più “concentrata” del vinile, giovano al nostro sound
e al suono della chitarra in particolare.
11. Avete in programma un video-lancio
dell'album?
Sì, abbiamo due o tre idee in cantiere che speriamo di poter
realizzare nei prossimi mesi. Il “lancio” vero e proprio è ormai
partito ma speriamo di poter presto integrare con un “complemento
visivo”.
12. E a quando il tour promozionale? Si
svolgerà tutto in terra nazionale o, come per gli altri album, avete
in programma date all'estero?
Sicuramente ricominceremo la nostra attività live in autunno-inverno
per portare in giro i nuovi brani; attendiamo conferma di alcune date
a Febbraio in Finlandia ed Estonia.
13. Come si è sviluppata la tua musica in
questi otto anni di Dirty Trainload attraverso le tue tre
pubblicazioni?
La nostra ricerca musicale si basa su un’interazione di tre
fattori: “blues, avant-garde e punk”; in altri termini cerchiamo
di assimilare lo spirito del blues delle radici e reinterpretarlo in
una chiave creativa, attuale ed inedita, senza rinunciare alla
fisicità e all’attitudine del garage punk rock.
“Rising Rust”, il nostro album di debutto del 2007 è stato, per
quanto mi risulta, il primo album prodotto in Italia ad avere questi
connotati. Prima di registrare cercavamo ancora di definire il nostro
sound, avemmo la fortuna di incontrare il producer giusto, Fabio
Magistrali, che poi è diventato nostro punto di riferimento per
tutti questi anni. Il Magister seppe valorizzare la componente grezza
e sporca del nostro sound, mettendo in luce le chitarre, elemento
cardine dell’impianto sonoro. Sembrerebbe banale ma in realtà non
è affatto facile trovare in Italia chi sa gestire una chitarra
elettrica distorta ed aggressiva in una sala di registrazione o su un
palco live. Scegliemmo anche di rinunciare all’acustica asettica di
un comune studio e registrammo in presa diretta nella sua casa. Ne è
venuto fuori un suono potente e personale che ha aperto la strada a
ciò che abbiamo sviluppato in seguito. Il sound di “Trashtown”,
il secondo album, è ulteriormente arricchito da una singolare
componente acustica, armoniosamente fusa in sonorità super
elettrificate; un lavoro di produzione raffinato, se di raffinatezza
si può parlare nel nostro caso. Il nuovo “A Place for Loitering”
è il nostro primo lavoro suonato con una vera e propria batteria
“full blast” ad integrazione delle rhythm box; è un disco
semplice e sincero, forse torna un po’ alle sonorità grezze degli
esordi ma qui il song writing è più maturo.
14. Bella chiacchierata, caro amico Bob. Ti
ringrazio per la cortese presenza qui sull'EDP, ti auguro ogni buona
cosa per te e la tua musica e ti lascio concludere con parole tue. Al
prossimo, felice incontro!
Grazie Giusy, complimenti ancora per il tuo impegno con EDP, ci fai
sentire parte di una grande famiglia, speriamo di incontrarci presto
su qualche palco! Chi fosse interessato al nostro nuovo album può
ascoltarlo gratuitamente in streaming o acquistarlo al link:
dirtytrainload.bandcamp.com
DISCOGRAFIA
Tutti
gli album con produzione di Fabio Magistrali e la cover disegnata
dall’illustratore svizzero Benjamin Güdel.
RISING
RUST 2007,
Side 4 Records
Bob
Cillo e il cantante armonicista Marco Del Noce.
1.Police Car 2.I Asked for Water, She Brought me Gasoline 3.Waiting
All the Time 4.Rising Rust 5.Tv Screen Watcher 6.Luna-tic
7.These Boots are made for Walking 8.Mad Man Blues 9.Bad Thoughts
About Irene
TRASHTOWN
2011, Otium-CNI
Bob
Cillo e la cantante/polistrumentista Livia "Noisance"
Monteleone.
1.Trashtown 2.Hard Working Time 3.Gotta Go 4.Had it Coming
5.Stranger's Blues 6.Lullaby 7.The Mayor's Son 8.44 9.Mad Ride
10.Wing Dance 11.Bitch 12.What 13.This Jail
A
PLACE FOR LOITERING 2014, Side 4 Records
Bob
Cillo e il batterista Go Balzano.
1.Dead Rat Blues 2.The Ballad of John Hardy 3.Eleanor, Bring your
Garbage Out 4.Big Road Blues 5.Tractors Downtown 6.I'm working on
it 7.You Only Live Twice 8.When the Saints Go Marching In 9.World
Wide Vision Crime 10.If I Had Possession Over Judgement Day
Video
demo di presentazione all'album youtube.com/watch?v=7pYtfCQA5QE
Qui
lo ascolti:
http://dirtytrainload.bandcamp.com/album/a-place-for-loitering
Qui la nostra recensione:
Altre recensioni
all'album:
Articolo ed intervista
ad opera di Giusy Elle
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