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giovedì 17 maggio 2018

161. RECENSIONE52: MondoFaz by The Inframen




THE INFRAMEN è un duo basso-batteria (Robert Parker e DasRet -Bluestone Valley) nato a Bari nel 2014 dalle ceneri dei Situation3, altro duo basso-batteria, il primo lo-fi della regione. Come indica il nome, i Situatuon3 partono dal trio ma ben presto riducono il combo a due, con il batterista Roberto Cavone, riereditato nel nuovo duo come terzo elemento dietro le quinte: è infatti artista, grafico e autore dell'artwork di The Inframen.Sia Roberto Antonacci (Robert Parker) che Andrea Rettino (DasRet) sono fan di fantascienza, b-movies e telefilm tokusatsu (il genere giapponese dei super eroi), per cui impostano il concept della propria band su questo background. "The Super Inframan" (in italiano "Inframan - L'altra Dimensione"), è infatti un film del 1975, il primo di regia cinese ad imitazione dei più famosi prodotti giapponesi.

La musica degli Inframen è un misto tra lo-fi, garage, noise e stoner che trae ispirazioni da svariate realtà della scena underground americana ed europea: Jon Spencer Blues Explosion, The Monsters, Mc5 e The Troggs, accostando al sound energico ed in alcuni casi rumoroso, il loro immaginario fantascientifico.Dopo il loro primo omonimo Ep, di 8 tracce, approdano agli inizi del 2018 alla pubblicazione del primo album ufficiale: Mondofaz, registrato al Tiberstoned Studio (Bari) da Lorenzo "Van Funj " Signorile e mixato e masterizzato al Creepy Green Light Project Studio. Il disco è un inno al rock'n'roll più primitivo e contaminato nonché alla filosofia "lo-fi".


La caratteristica della band è il suono incredibile del basso a tre corde che, sparato a palla in un piccolo ampli da chitarra, crea un roboante effetto fuzz senza usare nessun pedalino di rinforzo. Un suono stupefacente costruito nel tempo, fin dall'esperienza nei Situation3. Ora il percorso è terminato, il suono definito e la maturità del progetto indubbiamente raggiunta. Mondofaz ci presenta dieci incredibili brani di un rock puro, testardo e deragliante che, a seconda del contributo degli special guest, assume una sfumatura ogni volta diversa. E' il caso dell'effetto blueseggiante dato dalla chitarra baritona di Bob Cillo, altro fondatore di duo in terra barese, nello specifico dei DIRTY TRAINLOAD (qui il nostro articolo di presentazione) e di cui è recente la pubblicazione del video "Hefty".

Molte altre clip precedono questo evento, tutte incentrate sulle scene del film ispiratore del duo: "Temporal Passage" e "Infracolinenciusol" (cover della celentanesca “Prisencolinensinainciusol”) anticipano l'uscita dell'album, rispettivamente ad Ottobre e Dicembre 2017, mentre con l'anno nuovo possiamo godere dell'animazione di "Red" e recentemente anche della clip "Little & Wicked", nientemeno che l'immaginaria colonna sonora di "The Super Inframan"; novità degli ultimi giorni anche un remix della loro versione di "More You Talk, Less I Hear" dei The Monsters, da parte dell'amico Dj Sbume. Qui di seguito i link ai video su youtube, nell'articolo precedente (qui) la retrospettiva della band e l'esaustiva intervista a Roberto e Andrea (ci spiega al meglio la natura del suo sound specifico), mentre in calce a questo articolo l'approfondita RECENSIONE al loro Mondofuz, opera prima ma altamente competente e ricca di riferimenti storici, ad opera del nostro nuovo collaboratore Cesare Businaro. Già la sua descrizione della musica del duo potrebbe valere come un ascolto! Non mi resta quindi che augurarvi... Buon approfondimento dell'interstellare duo The Inframen!

Video clip lo-fi:
"More You Talk, Less I Hear" Remix https://www.youtube.com/watch?v=ulEJUrROLI0
"Hefty" https://www.youtube.com/watch?v=GchS_uVZ_U0

Contatti Band:


MondoFaz credits:
Robert Parker (Roberto Antonacci): basso, urla e fuzz
dAs Ret (Andrea Rettino): batteria e percussioni
Lorenzo "Van Funj " Signorile: riprese, mix e mastering @Tiberstoned Studio (Bari) e @Creepy Green Light Project Studio
Natascia Abbattista: foto
Roberto Cavone: grafiche e logo
Special guests: Bob Cillo (Dirty Trainload); Claudio De Pascale (Il Kif); Dario NItti (NgKok)


Qui lo ascolti

MondoFaz 2018
Autoprodotto
(Stoner, garage, noise, lo-fi)

1. Protonic Love
2. Magnetic Samba
3. Vampire Heart
4. Red
5. Temporal Passage
6. Hefty
7. Little & Wicked
8. More You Talk...
9. Infracolinenciusol
10. Monster Boogie
Ghost track


RECENSIONE
THE INFRAMEN MondoFaz
Lp 2018 Autoprodotto

Ricevo il CD degli Inframen per posta e la prima cosa che m’incuriosisce è l’indirizzo del mittente: un comune a me ignoto della provincia di Bari (Adelfia), che scopro essere un “duo”, sorto negli anni ‘20 (del secolo scorso), dall’amichevole fusione fra due paesi contigui (Adelfia deriva dal greco antico e significa “fratellanza”). Saranno solo coincidenze, ma leggenda narra che il patrono del paese, S.Trifone, sconfisse un’invasione di cavallette. Tant’è che la seconda cosa che m’incuriosisce del CD, una volta estratto dal plico, è l’alieno ritratto in copertina, che mi ricorda gli invasori extraterrestri di Tim Burton nel suo “Mars Attacks”. Il retro del digipack è un’estensione dell’immagine di copertina e ritrae invece Roberto Antonacci (in arte, Robert Parker, cantante/bassista degli Inframen), in colluttazione con l’alieno. Terzo e ultimo fattore stimolante la mia curiosità per questo CD, prima ancora d’inserirlo nel lettore e premere il tasto Play, è il titolo, “Mondofaz”: sono un fan di Mike Matthews, creatore del Big Muff, forse il più famoso pedale distorsore della famiglia dei fuzz, nonché di Chris Lembach, cantante/chitarrista degli Whores di Atlanta, che considero il “dio vivente” di “quella” distorsione ed è così che mi accingo all’ascolto dell’album.

La prima traccia di un CD è una sorta di biglietto da visita: un passo falso nella scelta del brano di apertura, può compromettere l’ascolto di quelli successivi. Ebbene, gli Inframen esordiscono con un tiratissimo e punkeggiante pezzo Garage (“Protonic Love”), che nell’attitudine mi ricorda il primo Garage, quello degli anni ‘60, dei primi Who (di “My Generation”), dei primi Kinks (di “You Really Got Me”), con un basso distortissimo che svela subito la pasta sonora della band, chiarendo che il titolo dell’album allude esattamente a ciò che immaginavo: siamo in territorio fuzz, appunto, una distorsione talmente satura, sporca e “slabbrata”, da suonare come un difetto dell’amplificatore (non a caso, si racconta che le prime “fuzzbox” siano state costruite proprio per riprodurre il suono di un amplificatore difettoso, se non di un cono rotto, alludendo giusto al chitarrista dei Kinks, che per registrare il brano sopra citato praticò – se non è solo una leggenda… – dei tagli a un altoparlante); è una distorsione inoltre molto ricca di armoniche, tanto che il basso degli Inframen finisce per coprire anche le frequenze tipiche di una chitarra distorta, così colmandone l’assenza nella band (e non mi pare, ascoltando il resto del CD, che Roberto ricorra ad altri stratagemmi, per riuscire a dare così tanto spessore al suo basso). Su questo tappeto distorto, ben messo in risalto, altresì, da un batterista micidiale (Andrea Rettino, in arte Das Ret), le linee vocali di Roberto, con una pronuncia dell’inglese che mi fa dimenticare la provenienza geografica del duo, mi ricordano, invece, il timbro di Mark Arm dei Mudhoney, paladini del Grunge di Seattle marcato Sub-Pop, ulteriore elemento che mi rende gli Inframen da subito molto famigliari e che m’invoglia, a maggior ragione, a proseguire nell’ascolto.

Il CD potrebbe dunque mantenersi, senza infamia né lode, lungo i binari del primo – e più che convincente – pezzo, ma gli Inframen dimostrano, dalla seconda traccia in avanti, di saper invece impreziosire un genere apparentemente trito e ritrito, anche per motivi “anagrafici”, come il Garage, arricchendo ogni traccia con qualcosa di particolare e che, personalmente, mi ha indotto, nei successivi ascolti dell’album, a premere più volte il tasto Repeat. Lo si sente subito nel pezzo seguente, “Magnetic Samba”: con l’aggiunta di un ospite alle percussioni, Dario Nitti, la band esplora i ritmi latini (credo che il titolo alluda esattamente a questo), prima d’introdurre un distortissimo assolo di basso, degno di John Entwistle (per tornare quindi in territorio Who) e poi concludere questa curiosa reinterpretazione della Samba.

La successiva “Vampire Earth” spezza nuovamente il ritmo più tirato del brano di apertura, questa volta strizzando un occhio al Blues e al Lo-Fi di John Spencer e i suoi Blues Explosion: la particolarità del pezzo è il netto contrasto fra la strofa, un orecchiabile Beat/Rock, scandito in parte da un campanaccio e un rullatissimo ritornello, le cui bordate appesantiscono l’impatto sonoro della band, orientandola verso lidi Stoner. In coda al pezzo, la band invece si ritrae, passando il testimone a un nuovo ospite, per così dire, visto che si tratta, in realtà, di un frammento del sonoro di un vecchio film giapponese, ispirato – come deduco dalle note interne del CD – ad Ogon Batto, il supereroe di un vecchissimo fumetto del Sol Levante (forse il primo, dedicato a un supereroe nella storia dei fumetti), a conferma dell’interesse della band per il più datato cinema fantascientifico, già omaggiato nell’immagine di copertina.

Sul canale YouTube degli Inframen, “Red”, quarta traccia del CD, è proposta come estratto, con apposita clip. Se la traccia video rivela che l’interesse della band per il cinema vintage, di genere fantascientifico, è piuttosto una passione sfegatata e si sposa perfettamente con la sua vena Lo-Fi, la traccia audio è impreziosita da un nuovo ospite alla slide guitar, Claudio De Pascale, grazie al quale il Garage degli Inframen si tinge stavolta di Rockabilly e Dixieland.

A chiudere la prima metà dell’album è quindi un brano strumentale, “Temporal Passage”, il primo dei due (nella tracklist “ufficiale”), che scoprirò presenti sul CD: qui la band preme decisamente sull’acceleratore, proponendo un pezzo tiratissimo, nuovamente ai limiti dello Stoner, grazie alle rullate di Andrea, sporcato da lancinanti feedback e filtrato, con un repentino cambio di tempo in chiusura, da un effetto phaser o comunque simile a un phaser, piuttosto che a un flanger; insomma, un effetto avvolgente, rotatorio e abbastanza “straniante”, da richiamare a tratti la scena psichedelica texana degli anni ‘60, quella di matrice Surf/Punk, più rozza ed embrionale, ma non per questo meno “allucinogena” di quella inglese degli stessi anni: che gli Inframen siano fan dei 13th Floor Elevators? Indipendentemente da questo, l’effetto sembra anche spiegare il titolo del pezzo: il “vortice” sonoro, infatti, ben ricrea la sensazione di un viaggio nel tempo, così com’era spesso ricreata, nel già citato genere di cinema vintage, avvitando l’inquadratura.

Se i Mudhoney sono fra i primi gruppi che mi hanno ricordato gli Inframen, soprattutto per il comparto vocale, al sesto pezzo, “Hefty”, la mia memoria musicale risale a chi li ha preceduti con lo stesso Mark Arm nell’albero genealogico della scena di Seattle, vale a dire i Green River. Con quel tempo – tipicamente Grunge – in 6/8, che proprio alcuni membri degli stessi Green River riproporranno di lì a breve nell’esordio discografico dei Pearl Jam (vd. traccia “Deep”), gli Inframen toccano pure questo genere, non senza rivisitarlo, complice Bob Cillo alla chitarra baritona, altro ospite di “Mondofaz”, in salsa Spaghetti Western: sembrerebbe un’eresia, ma quegli arpeggi in twang, con la giusta dose di riverbero, fanno decisamente il verso al commento sonoro di Ennio Morricone a certi film di Sergio Leone.

La settima traccia, “Little & Wicked”, è nuovamente strumentale, se si esclude l’unico e brevissimo intervento vocale di Roberto, in corrispondenza dell’ultimo dei 7 colpi secchi di rullante e piatti, con cui si chiude questa “cavalcata” di fuzzose bordate Stoner: il brano è meno tirato, ma più slanciato di “Temporal Passage” (l’altro strumentale) e il riff di basso distorto ben scandisce con repentine mitragliate di armonici artificiali, le tentacolari rullate di Andrea.

Segue, a questo punto del CD (peraltro con l’erronea inversione dei due titoli sul retro del digipack), una coppia di cover, la prima – udite, udite… – di un brano di Adriano Celentano. La band, visto il periodo storico al quale musicalmente s’ispira, non poteva ripescare di meglio dal panorama nostrano: il molleggiato, infatti, è forse l’artista che ha più saputo riproporre in Italia lo spirito del primo Rock & Roll, importandolo nel Bel Paese quando in “madrepatria” stava diventando un fenomeno di massa. Il pezzo riproposto e dal titolo storpiato in “Infracolinenciusol”, è la sua “Prisencolinensinainciusol”, con cui il ragazzo della Via Gluck si fece addirittura antesignano del Rap, rockeggiando uno scioglilingua nel suo inglese “maccheronico” (per non dire inventato di sana pianta). La versione degli Inframen è servita, ovviamente, su un piatto a base di strabordante fuzz, ma la ritmica riprende tutto sommato il groove della versione originale, mentre Roberto ne reinterpreta la linea vocale con un atteggiamento spiccatamente Punk, alternandola all’audio di un vecchio film, in questo caso non specificato nelle note interne, ma suppongo ripescato dallo stesso “catalogo” (nipponico) di Ogon Batto.

La seconda rivisitazione, a seguire, è invece di un brano dei The Monsters, “More You Talk…”, di cui non conosco l’originale, finché non ne recupero lo streaming su Bandcamp: curiosamente, la band proviene dalla capitale svizzera, dove si è formata a metà degli anni ‘80 e, come gli Inframen, propone un Garage/Punk, che il nostro duo rispolvera in versione fuzzosissima, finendo per stravolgere il pezzo (anche perché, nell’originale, è la chitarra a farla da padrone), se non fosse per il ritornello, di cui invece riprende il coro abbastanza fedelmente. Se posso scegliere, è comunque un caso in cui la cover supera l’originale.

Chiude la tracklist “dichiarata” sul CD un gran finale di 10 minuti: “Monster Boogie” è un “viaggio” sonoro scandito da linee vocali psicotiche e rotte da risate isteriche, in cui la band accentua la propria vena psichedelica (il riferimento è ancora al ramo texano del genere), sostanzialmente jammando lungo le stesse trame delle due tracce strumentali di cui sopra, ma espandendole con infiniti feedback di basso e assoli di batteria, impreziositi ancora dalle percussioni di Dario Nitti. La jam potrebbe non finire mai e infatti, dopo il decimo minuto, viene bruscamente troncata, come se fosse stata registrata su nastro e non fosse bastata la bobina.

Poco male, perché una manciata di secondi dopo, la jam di fatto riprende per una breve traccia “fantasma”: qui il ritmo si fa tribaleggiante (mi ricorda, a tratti, la “Chip Away” degli allora esordienti Jane’s Addiction) e più scarno, alleggerendosi fino alle sole bacchette, mentre un lungo feedback di basso si assottiglia sulle frequenze più gravi, per poi dissolversi a fine traccia.

In conclusione, un album godibilissimo, che, da un lato, è una sorta di manuale del fuzz e che, per questo motivo, non posso che raccomandare, anzitutto, agli amanti di “quel” suono, ma che, dall’altro, per la sua sorprendente varietà, potrebbe fare il botto nell’underground nostrano, prestandosi ad accontentare la più ampia schiera di ascoltatori.

Vista l’intesa fra i due, ben messa in risalto dalla produzione del CD (affidata a Lorenzo “Van Funj” Signorile presso il Tiberstoned Studio di Bari), attendo infine la prova live, sperando che gli Inframen possano atterrare al più presto sul milanese.

Cesare Businaro
8/10



Articolo e intervista ad opera di Giusy Elle

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